Crisi e violenze in Centrafrica. Una religiosa: colpevoli non sono ribelli ma mercenari
A seguito della grave situazione politica, che paralizza la popolazione della Repubblica
Centrafricana dallo scorso 24 marzo, l’Ordine del Carmelo della capitale Bangui ha
organizzato un’iniziativa di preghiera che coinvolge le famiglie locali nella recita
del Rosario. A sostenere l’iniziativa, la Procura Missioni di Arenzano, in Liguria,
che ha proposto per domenica 21 luglio, ai monasteri e ai conventi carmelitani della
regione, una giornata di preghiera per chiedere a Dio il dono nella pace nel Paese.
Intanto, nella Repubblica Centrafricana, a quasi quattro mesi dalla presa del potere
da parte dei ribelli Séléka, continuano le violenze sulla popolazione, mentre peggiorano
le condizioni umanitarie. Lo conferma, dalla città di Berberati, suor Elvira Tutolo,
missionaria delle suore della Carità di Santa Giovanna Antida Thouret, da 21 anni
in Africa, intervistata da Fabio Colagrande:
R. – Siamo in
una situazione di stasi e di peggioramento. La differenza è questa: in un primo momento
anche qui a Berberati, come a Bangui, c’erano continuamente violenze e noi - notte
e giorno - eravamo sotto i tiri di armi da fuoco. In questo momento, invece, sono
rari, ma la situazione è peggiorata dal punto di vista economico e sociale.
D.
– Un’organizzazione umanitaria ha denunciato però che le uccisioni di civili, gli
incendi di villaggi, la morte di persone che non hanno assistenza proseguono nella
Repubblica Centroafricana. Lei cosa dice?
R. – Purtroppo devo dire anch'io
che è vero, perché anche qui, a Berberati, durante il giorno questi elementi della
Séléka sono apparentemente gentili, ma la notte è tutt’altro. Ancora questa notte
(ieri - ndr) hanno trucidato due ragazzi.
D. – Come spiegare questa
violenza, suor Elvira?
R. – Sono mercenari, non sono ribelli: non hanno alcuna
idea politica e non vogliono il bene del popolo. Sono dei mercenari, sono ragazzi
che sono stati raccolti così, senza alcuna formazione. Io li riconosco, perché prima
di venire qui in Centrafrica - sono ormai 12 anni che sono qui - ho vissuto 10 anni
in Ciad e quindi confermo quello che i media hanno detto: sono in maggioranza ciadiani,
nell’etnia "chacahua", e quindi parlano solo arabo. Sono persone che non hanno avuto
né una formazione né uno scopo politico, quale potrebbe essere anche quello di una
fazione di ribelli. Sono tantissime fazioni, che cercano solo denaro e che sono l’uno
contro l’altro.
D. – Medici senza Frontiere ha denunciato nei giorni scorsi
anche la gravissima situazione sanitaria del Paese. Ci conferma anche questi dati,
suor Elvira?
R. – Purtroppo sì. Direi che questa è la cosa più grave. Qui -
l’ospedale di Berberati è un ospedale universitario - non ci sono nemmeno più i farmaci
di prima necessità. Ieri, vi sono stata e sono morti ancora tre bambini. Non c’è alcuna
possibilità di cure. I bambini malnutriti sono una enormità. Noi siamo una ong – ong
"Kizito", io sono la presidente – e ce ne siamo fatti carico: siamo l’unica ong qui
a Berberati, ma non è nostro compito. Ho molto discusso con il direttore dell’ospedale,
ma niente: non hanno nemmeno un soldo... Non c’è stato rifornimento di farmaci e la
gente muore veramente così e in particolare i bambini. C’è poi soprattutto mancanza
di sangue, la malnutrizione e il paludismo… Molte famiglie, quando si sparava, hanno
lasciato la città per andare nella foresta: nella foresta sono stati però letteralmente
aggrediti dalle zanzare: adesso, il paludismo celebrale se li porta via in dieci minuti.
D.
– Suor Elvira, dal punto di vista dei rapporti tra le diverse comunità religiose,
com’è cambiata la situazione negli ultimi mesi?
R. – Noi avvertiamo un atteggiamento
di superiorità, di invasione. Da parte della comunità musulmana araba, notiamo questo.
Adesso non voglio esagerare in questo senso, ma la costatazione è questa: quando ti
incontrano, se sei musulmano, passi, se non lo sei, non passi. I ribelli sono tutti
musulmani arabi, tutti: ciadiani, sudanesi, tutti. Per esempio, qui a Berberati sono
aumentate, in questi mesi, le piccole moschee: prima ce n'era una soltanto nel loro
quartiere, ma adesso anche in centro città hanno aperto due o tre piccole moschee.
E’ come se volessero introdursi… Si sentono più forti e quindi invadano di più il
territorio, la comunità.