Burns in Egitto: nessun modello da esportare. Ancora scontri tra pro e contro Morsi
Gli Stati Uniti non intendono imporre il loro modello sull'Egitto. Così il vice segretario
di stato americano, William Burns, nella prima visita di un alto funzionario al Cairo
dalla deposizione del presidente Morsi. Il diplomatico statunitense ha avuto una serie
di incontri istituzionali, proprio mentre duri scontri infiammavano la capitale. Dal
Cairo, Giuseppe Acconcia:
Duri scontri
si sono svolti ieri al Cairo. Teatro degli incidenti via Ramsis e il ponte 6 ottobre
nel centro della città tra sostenitori e oppositori dell’ex presidente Morsi, mentre
la polizia ha fatto uso di lacrimogeni per disperdere la folla. Per tutta la giornata
di ieri sono proseguite le marce degli islamisti che presidiano da quindici giorni
il largo viale antistante la moschea Rabaa El-Adaweya nel quartiere orientale del
Cairo, Medinat Nassr. Nel frattempo, continua la missione del vice Segretario di Stato
degli Stati Uniti, Bill Burns, mentre arriva oggi al Cairo l’Alto rappresentante dell’Unione
europea Catherine Ashton. Il tentativo è di favorire il rilascio del deposto presidente
Morsi. A sostenere ancora la legittimità delle rivendicazioni dei Fratelli musulmani
si sono schierati Turchia e Iran. In particolare, il ministro degli Esteri turco Ahmet
Davutoglu ha ribadito che continua a considerare Morsi il legittimo presidente. In
risposta, il presidente egiziano ad interim Adli Mansour ha mandato un messaggio al
suo omologo turco Abdullah Gul, augurandosi stabili relazioni con Ankara. Dal canto
suo, il premier incaricato Hesham El Beblawi ha proseguito i colloqui per la formazione
dell’esecutivo la cui composizione sarà ufficializzata mercoledì. Per il ministero
del Lavoro si fa il nome del presidente della Federazione egiziana dei sindacati indipendenti,
Kamal Abu Eita.
Per un’analisi della situazione in Egitto Massimiliano Menichetti
ha raccolto il commento di Massimo Campanini, docente di Storia dei Paesi islamici
all’Università di Trento:
R. – Si va incontro
a un periodo di grande incertezza, in cui i militari avranno un ruolo decisivo per
tenere sotto controllo la situazione ed evitare che questa precipiti in uno scontro
frontale che potrebbe configurarsi addirittura come una guerra civile. Le due posizioni
contrapposte – i Fratelli musulmani da una parte, e il fronte laico dall’altra – credo
giovi agli interessi e al controllo dei militari che, attraverso i carri armati, possono
riuscire a indirizzare la situazione secondo una trasformazione costituzionale a loro
gradita. Questo naturalmente non vuol dire che ne guadagnerà il cammino democratico
dell’Egitto. D. – Secondo alcuni, i militari che – lo ricordiamo – detengono i
gangli vitali dell’economia, sono stati gli orchestratori di questa situazione in
Egitto. Secondo lei, è vero oppure no? R. – È verissimo, nel senso che precedentemente
si era parlato di una convergenza di interessi tra i Fratelli musulmani e i militari,
poi in realtà c’era stato uno scontro di potere tra il presidente Morsi e i vertici
dell’esercito nell’estate 2012, dal quale Morsi era uscito vincitore. Facendo cadere
il presidente e schierandosi apparentemente a favore della volontà popolare, i militari
hanno ripreso il controllo della situazione e hanno rioccupato quello spazio di movimento
che garantisce loro la conservazione dei propri privilegi e la difesa del proprio
ruolo centrale all’interno del sistema politico egiziano. Il fatto è che si tratta
- secondo me - di un passo indietro. In questo modo, siamo tornati al controllo dei
militari sulla vita politica dell’Egitto, che era simile a quello dell’epoca di Mubarak,
per non parlare naturalmente dell’epoca di Nasser. D. – In Egitto, è nata anche
l’Alleanza nazionale popolare, una coalizione che riunisce gruppi politici, sindacati
e forze rivoluzionarie… R. – Indubbiamente, si tratta di un tentativo di cercare
di coagulare le varie componenti di quello che era il fronte dell’opposizione, che
ormai possiamo dire essere il fronte governativo. Potrebbe essere una scelta importante
per garantire, in una situazione di grande incertezza, la transizione del Paese. Però,
il problema della risoluzione delle problematiche e delle difficoltà economiche che
l’Egitto si trova davanti è un punto nodale del programma governativo di chiunque
sia ancora al potere in Egitto: senza dare una risposta alle necessità quotidiane
della grande popolazione egiziana, difficilmente l’Egitto riuscirà a superare in maniera
positiva questa situazione di difficoltà e d’incertezza. D. – La visita del vicesegretario
di Stato americano, Burns, in Egitto viene presentata come un’occasione per sottolineare
il sostegno al popolo egiziano. È così? R. – L’interesse degli Stati Uniti, così
come della geopolitica e della diplomazia internazionale, non è stato la difesa degli
obiettivi e delle aspirazioni rivoluzionarie del popolo egiziano, quanto la garanzia
di un equilibrio del Paese, perché sappiamo tutti qual è l’importanza dell’Egitto
all’interno del mondo arabo e dell’agitato scacchiere mediorientale. Mi sembra molto
pragmatico l’atteggiamento di sostenere una potenziale transizione che stabilizzi
il quadro politico e istituzionale del Paese, in modo da garantire non solo gli equilibri
internazionali, ma anche l’intervento e la presenza degli intessi occidentali in Egitto
e in Medio Oriente.