Kenya: missionari tra i ragazzi di strada a Nyahururu
Credere nelle potenzialità della comunità: è la filosofia con cui il missionario padovano
don Gabriele Pipinato ha dato vita, nel 1997, al Centro Saint Martin di Nyahururu,
in Kenya. Al programma iniziale, rivolto ai disabili, si aggiungono oggi iniziative
di microcredito, di prevenzione dell’Aids, di recupero dei ragazzi di strada. L’obiettivo
è coinvolgere le comunità locali nel cambiamento della loro condizione, come ha spiegato
a Davide Maggiore il direttore del Centro, don Mariano Dal Ponte:
R. – L’esperienza
del Saint Martin è nata ed è cresciuta senza una pianificazione previa: è nata dalla
storia e dalle sfide che la storia ha presentato a don Gabriele all’inizio e ai volontari
dell’inizio. Per esempio, il programma dei ragazzi di strada è nato in seguito ad
un’esperienza molto triste che è successa qui, a Nyahururu: la morte violenta di una
ragazzina in strada. Da lì è arrivata la domanda: “Come cristiani non ci sentiamo
chiamati a fare nulla per questi ragazzi che vivono in strada?”.
D. – Lo stesso
si può dire anche per gli altri programmi?
R. – Certo, la domanda ancora una
volta, era: “Ma, che cosa il Signore Gesù ci chiede di fare e di dire su questo?”.
E da lì si è iniziato a lavorare non soltanto per assistere, ma anche per aprire la
comunità all’accoglienza.
D. – Lo spirito del Saint Martin è lo spirito per
cui tutto si fa soltanto attraverso la comunità; quindi, il coinvolgimento della popolazione
locale è fondamentale …
R. – La comunità è sicuramente cresciuta nell’apertura
e nell’accoglienza delle sfide che sono al suo interno e nell’accoglienza della disabilità
come pure delle persone più vulnerabili al suo interno, in modo straordinario. Noi
siamo testimoni di un miracolo di amore e di grande apertura della comunità. E’ chiaro
che ci sono comunità che ancora hanno bisogno di grande formazione e di lavorare al
loro interno per vedere, per esempio, le persone disabili oppure le persone ammalate
al loro interno non come dei pesi, non come dei maledetti, non come persone
da mettere da parte, ma come doni, delle risorse e delle benedizioni, nel vero senso
della parola.
D. – Cosa significa “il povero come risorsa”, “il povero come
benedizione”?
R. – Nell’avvicinarci alle persone vulnerabili ci siamo accorti
che sempre, all’interno della vita di un povero o di un disabile c’è un messaggio
che ci interroga a cambiare vita e ad aprire il cuore. Allora ci sentiamo noi i beneficiari
di questa trasformazione e ci sentiamo noi “in debito” più che benefattori che fanno
qualcosa di buono per loro.
D. – Concluderei chiedendole se c’è una storia
che lei considera particolarmente emblematica dello spirito del Saint Martin …
R.
– Il racconto di una mamma che qualche mese fa si è trovata in una situazione difficile
e per disperazione aveva deciso di vendere uno dei propri bambini, perché non riusciva
a dar loro da mangiare, non riusciva ad andare avanti. Uno dei nostri volontari ha
immediatamente raccontato cosa stava avvenendo; chiaramente, sono riusciti a bloccare
la vendita di questo bimbo: purtroppo, c’è stato anche il coinvolgimento della polizia
che ha arrestato la mamma … Ma siamo riusciti ad intervenire, a far da mediatori perché
a questa mamma venisse data un’opportunità. E proprio nel momento in cui ci stavamo
chiedendo quale e ci stavamo organizzando, c’è stato un incontro in una delle aree
in cui noi stiamo operando. Qualcuno ha condiviso l’esperienza di quei giorni riguardo
a questa mamma. E senza che noi chiedessimo niente, uno dei presenti si è alzato e
ha detto: “Io sarei molto felice di accogliere questa mamma con i suoi bambini e dare
loro l’opportunità, pian piano, di crearsi un futuro”. Questi sono i miracoli che
avvengono attraverso la comunità.