2013-07-15 12:40:59

Kenya: missionari tra i ragazzi di strada a Nyahururu


Credere nelle potenzialità della comunità: è la filosofia con cui il missionario padovano don Gabriele Pipinato ha dato vita, nel 1997, al Centro Saint Martin di Nyahururu, in Kenya. Al programma iniziale, rivolto ai disabili, si aggiungono oggi iniziative di microcredito, di prevenzione dell’Aids, di recupero dei ragazzi di strada. L’obiettivo è coinvolgere le comunità locali nel cambiamento della loro condizione, come ha spiegato a Davide Maggiore il direttore del Centro, don Mariano Dal Ponte:RealAudioMP3

R. – L’esperienza del Saint Martin è nata ed è cresciuta senza una pianificazione previa: è nata dalla storia e dalle sfide che la storia ha presentato a don Gabriele all’inizio e ai volontari dell’inizio. Per esempio, il programma dei ragazzi di strada è nato in seguito ad un’esperienza molto triste che è successa qui, a Nyahururu: la morte violenta di una ragazzina in strada. Da lì è arrivata la domanda: “Come cristiani non ci sentiamo chiamati a fare nulla per questi ragazzi che vivono in strada?”.

D. – Lo stesso si può dire anche per gli altri programmi?

R. – Certo, la domanda ancora una volta, era: “Ma, che cosa il Signore Gesù ci chiede di fare e di dire su questo?”. E da lì si è iniziato a lavorare non soltanto per assistere, ma anche per aprire la comunità all’accoglienza.

D. – Lo spirito del Saint Martin è lo spirito per cui tutto si fa soltanto attraverso la comunità; quindi, il coinvolgimento della popolazione locale è fondamentale …

R. – La comunità è sicuramente cresciuta nell’apertura e nell’accoglienza delle sfide che sono al suo interno e nell’accoglienza della disabilità come pure delle persone più vulnerabili al suo interno, in modo straordinario. Noi siamo testimoni di un miracolo di amore e di grande apertura della comunità. E’ chiaro che ci sono comunità che ancora hanno bisogno di grande formazione e di lavorare al loro interno per vedere, per esempio, le persone disabili oppure le persone ammalate al loro interno non come dei pesi, non come dei maledetti, non come persone da mettere da parte, ma come doni, delle risorse e delle benedizioni, nel vero senso della parola.

D. – Cosa significa “il povero come risorsa”, “il povero come benedizione”?

R. – Nell’avvicinarci alle persone vulnerabili ci siamo accorti che sempre, all’interno della vita di un povero o di un disabile c’è un messaggio che ci interroga a cambiare vita e ad aprire il cuore. Allora ci sentiamo noi i beneficiari di questa trasformazione e ci sentiamo noi “in debito” più che benefattori che fanno qualcosa di buono per loro.

D. – Concluderei chiedendole se c’è una storia che lei considera particolarmente emblematica dello spirito del Saint Martin …

R. – Il racconto di una mamma che qualche mese fa si è trovata in una situazione difficile e per disperazione aveva deciso di vendere uno dei propri bambini, perché non riusciva a dar loro da mangiare, non riusciva ad andare avanti. Uno dei nostri volontari ha immediatamente raccontato cosa stava avvenendo; chiaramente, sono riusciti a bloccare la vendita di questo bimbo: purtroppo, c’è stato anche il coinvolgimento della polizia che ha arrestato la mamma … Ma siamo riusciti ad intervenire, a far da mediatori perché a questa mamma venisse data un’opportunità. E proprio nel momento in cui ci stavamo chiedendo quale e ci stavamo organizzando, c’è stato un incontro in una delle aree in cui noi stiamo operando. Qualcuno ha condiviso l’esperienza di quei giorni riguardo a questa mamma. E senza che noi chiedessimo niente, uno dei presenti si è alzato e ha detto: “Io sarei molto felice di accogliere questa mamma con i suoi bambini e dare loro l’opportunità, pian piano, di crearsi un futuro”. Questi sono i miracoli che avvengono attraverso la comunità.







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