2013-07-12 08:06:53

Raffica di attentati in Iraq. Duemila le vittime dallo scorso aprile


Iraq di nuoco scosso dalle violenze. Almeno 40 persone, di cui 25 membri delle forze dell’Ordine, sono stati uccisi in attentati e attacchi in diverse aree del Paese. Da inizio luglio si contano più 240 vittime, oltre 2000 dallo scorso aprile. Prosegue dunque l’escalation di fronte alla quale l’Onu parla di rischio di guerra civile per le divisioni settarie. Marco Guerra ne ha parlato con Maurizio Simoncelli, vicepresidente di Archivio Disarmo:RealAudioMP3

R. – Purtroppo alla caduta di regimi dittatoriali, come quello di Saddam Hussein - ma pensiamo anche a quello di Gheddafi, pensiamo alla situazione in Siria, con la vicenda di Assad e la rivolta armata che è in corso - non si contrappone una società civile organizzata come noi la possiamo immaginare in Occidente. Ci sono situazioni molto complesse: ci sono gruppi con spinte diverse, con interessi diversi che facilmente hanno a disposizione armi e quant’altro, e di fatto si vanno realizzando situazioni di grande instabilità. L’ultima in ordine di tempo è anche la vicenda egiziana: si è più volte detto che non si può esportare la democrazia con le armi, perché in realtà il processo democratico è un processo lungo, che avviene attraverso non decenni, ma forse anche secoli…

D. – L’Onu parla di un rischio di guerra civile: siamo davvero a questo punto?

R. - Indubbiamente gli scontri ci sono, si stanno incrementando e di fronte all’instabilità governativa, questo evidentemente tende ad aumentare le probabilità di una guerra civile. Teniamo presente, ad esempio, che l’area curda si è di fatto autoamministrata e ha di fatto un’autonomia rispetto al resto del Paese; teniamo presente che ci sono spinte di contrasto molto violente tra sciiti e sunniti. Questo evidentemente non fa altro che peggiorare una situazione d’instabilità conseguente alla guerra e all’occupazione militare successiva. Nel momento in cui i vari attori reclamano o una supremazia o una totale autonomia o quant’altro, evidentemente questo comporta delle spinte ad un confronto di tipo armato, di tipo violento.

D. - Forse bisognava proseguire su un percorso di assistenza, anche militare?

R. – Non si può tenere occupato militarmente un Paese all’infinito, anche perché le forze che in un primo momento possono essere percepite di liberazione, non sono più di liberazione, ma diventano di occupazione. E questo evidentemente è un problema sia per il Paese che subisce, sia anche per i Paesi che inviano queste forze armate. Se andiamo a vedere poi i risultati di queste missioni – proprio quelle più agguerrite di “peace and forcing” – sono quelle che hanno dato maggiori problemi e minori risultati.







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