2013-07-12 14:06:34

Il card. Turkson: business equo è possibile se basato sulla logica del dono


Chi l’ha detto che per fare del buon business – che porti cioè a solidi profitti – bisogna seguire alla lettera le logiche di mercato, evitando cedimenti sul fronte dell’etica? Da decenni, il magistero sociale della Chiesa sostiene l’esatto contrario, mentre si moltiplicano le aziende che dimostrano come i due aspetti si possano felicemente coniugare. Il cardinale Peter Turkson si è premurato di ricordarlo ieri a Yaoundé, in Camerun, ai partecipanti al primo Congresso africano dell’Uniapac, l’Unione cristiana imprenditori dirigenti. Portando il saluto di Papa Francesco, il presidente del Pontificio Consiglio Giustizia e pace ha svolto un’ampia riflessione sul modo in cui la Chiesa intende il mondo degli affari, con l’espressa volontà – ha affermato – di incoraggiarlo e sostenerlo “in un periodo difficile e impegnativo” come l’attuale, e soprattutto perché possa assumere “in modo equo e appropriato”, è stato l’auspicio, “le sue importanti responsabilità nei riguardi della società”.

Punto di partenza del ragionamento è stata la contrapposizione tra la “logica del mercato” e la “logica del dono”, con la prima sbilanciata verso la resa economica dell’impresa ma giudicata insufficiente “nel promuovere lo sviluppo delle persone sul posto di lavoro”. La questione è nota: la logica del mercato bada al reddito spesso sfruttando le persone che lo producono, ma – ha sostenuto il cardinale Turkson – è la logica del dono “che umanizza e civilizza le imprese”, grazie al valore che la anima, ovvero “il principio della gratuità”. In questo senso, la sfida che si pone in un macrosettore come quello del business balza subito agli occhi: ci si deve spendere affinché il principio della gratuità e la logica del dono trovino “posto – ha detto il porporato – nella normale attività economica”. E qui, il cardinale Turkson ha esercitato sugli imprenditori cristiani una pressione uguale e contraria a quella che considera il business una terra di conquista per il solo guadagno d’impresa. Ricordate, ha detto loro, che il “servizio per il bene comune viene prima degli interessi di un piccolo gruppo”, mentre viceversa la “divisione tra fede religiosa e attività quotidiane può portare a squilibri e spingere al culto del successo materiale”. Siamo “chiamati – ha insistito – ad agire in solidarietà in solidarietà con coloro che non hanno accesso ala proprietà, con il grande numero di persone che soffrono mentre altri vivono nella ricchezza”. Affermazioni che hanno riecheggiato molto da vicino gli insegnamenti di Papa Francesco e che il cardinale Turkson ha ampliato con una constatazione: “Questa visione del mondo degli affari – ha riconosciuto – è fonte di notevole tensione e non è facile da implementare nel mondo di oggi”, a causa delle “diverse barriere esterne che possono impedire a un dirigente di società di plasmare le strutture da questo punto di vista”. Barriere, ha elencato, che vanno dall’“assenza di norme di legge o di regolamenti” alla “corruzione”, dall’umana tendenza all’“avidità” alla “cattiva gestione delle risorse”.

I principi cristiani applicati all’imprenditorialità, dunque, ha sintetizzato il presidente di Giustizia e Pace, possono essere riassunti in tre obiettivi. Primo, “produrre una buona proprietà”, con beni e servizi di reale utilità e non indifferenti ai bisogni dei poveri”. Secondo, rendere le imprese “una buona fonte di lavoro”, perché così esse sono le prime a “promuovere la speciale dignità del lavoro umano”. Terzo, conseguire una “buona ricchezza”, che sia cioè equa e non scollegata dall’ambiente naturale e culturale in cui essa è prodotta. (A cura di Alessandro De Carolis)

Ultimo aggiornamento: 13 luglio 2013.









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