Dal Cdm ok al decreto contro le discriminazioni tra figli. Il parere dell'esperto
della Cattolica
Dal Consiglio dei ministri via libera al decreto legislativo che elimina qualsiasi
forma di discriminazione tra figli legittimi e figli nati fuori dal matrimonio. “Una
grande segno di civiltà ", ha detto il presidente del Consiglio, Enrico Letta. Sul
provvedimento Alessandro Guarasci ha intervistato Andrea Renda, docente
di “Diritto di Famiglia” all’università cattolica:
R. – Sicuramente
può, in linea di principio, dirsi conforme all’interesse del minore. Poi, ovviamente,
si tratta di verificare, in relazione alle singole norme del decreto, come questo
interesse sia stato interpretato e applicato dalla riforma.
D. – Le norme precedenti
comportavano spesso problemi?
R. – Permanevano sicuramente alcune differenziazioni
di trattamento che potevano ritenersi ingiustificate e che la riforma ha eliminato.
La prima è la nozione di parentela che questa riforma generalizza, intendendola come
il vincolo tra persone che discendono da uno stesso stipite. Con la riforma, i fratelli
saranno chiamati alla successione dei propri fratelli senza distinguere se nati in
matrimonio o meno. Al tempo stesso, poi, la riforma, per esempio, elimina il concetto
di “potestà” genitoriale e lo sostituisce con quello di “responsabilità” genitoriale.
Questo sta a significare che adesso il potere dei genitori nei confronti dei figli
è un potere non nell’interesse proprio ma nell’interesse dei figli stessi. Infine,
un aspetto particolarmente importante della riforma è il riconoscimento di un diritto
del minore all’ascolto, sia da parte dei propri genitori, sia nel processo nel quale
molto spesso il figlio non è parte e quindi, se non venisse ascoltato, non potrebbe
avere il canale per esprimere la propria personale visione della questione di cui
si tratta.
D. - Non c’è il pericolo in questo modo anche di sminuire il valore
dell’istituto familiare?
R. – La riforma, sulla base della lettura di un testo
ancora non definitivo, peraltro, continua a riconoscere una persistente tutela preferenziale
al matrimonio, sia come istituto fondativo di una comunione materiale e spirituale
di vita dei coniugi e destinatario di un valore sicuramente superiore rispetto alla
semplice convivenza more uxorio, sia soprattutto nei suoi riflessi sulla filiazione.
A me sembra che il matrimonio resti, come deve restare, il primo luogo della procreazione,
secondo quanto si ricava, del resto, dall’articolo 30 della Costituzione, che nell’imporre
ai genitori di mantenere, istruire ed educare i figli, anche se nati fuori dal matrimonio,
presuppone che questo dovere valga primariamente se i figli sono nati proprio in matrimonio.