2013-07-11 14:21:16

Il Papa e la sequela di Cristo, strada di servizio lontana dal fascino del provvisorio


La Chiesa ha celebrato ieri la festa liturgica di San Benedetto abate, patrono d’Europa, e il Vangelo ha presentato il brano in cui gli Apostoli domandano a Gesù cosa avranno in cambio per averlo seguito. Entrambi gli aspetti richiamano alla memoria alcune recenti riflessioni di Papa Francesco sul valore della sequela di Cristo e della preghiera. Alessandro De Carolis le ricorda in questo servizio:RealAudioMP3

“Noi abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito; che cosa dunque ne avremo?”. La domanda che Pietro rivolge a Gesù nel Vangelo di oggi non ha data di scadenza. Ogni generazione della Chiesa la ripete al suo Capo, per sentirsi ogni volta offrire da Lui la misura di un contraccambio senza misura: “Cento volte tanto” oggi e l’eredità della “vita eterna” domani. Una richiesta netta e una offerta limpida. Eppure, ha rilevato Papa Francesco, un problema nasce quando, nel decidere di seguire Gesù, il “contraente” più fragile, l’uomo, comincia a fare calcoli di interesse e lucro invece di mettere sul piatto una sola moneta, quella della magnanimità, della larghezza di cuore, sull’esempio di Gesù, il Contraente forte. Una tentazione, ammette il Papa, che affligge un po’ tutti i cristiani:

“Seguire Gesù come una forma culturale (…) Se si segue Gesù come una proposta culturale, si usa questa strada per andare più in alto, per avere più potere. E la storia della Chiesa è piena di questo, cominciando da alcuni imperatori e poi tanti governanti e tante persone, no? E anche alcuni - non voglio dire tanti ma alcuni - preti, alcuni vescovi, no? Alcuni dicono che sono tanti… ma alcuni che pensano che seguire Gesù è fare carriera”.

Sgomberato il campo da ciò inquina il rapporto tra chi chiede e chi offre, Papa Francesco mostra un altro guadagno che va ad arricchire colui o colei che ha scelto la sequela di Cristo, qualsiasi sia la sua vocazione: chi crede non lo fa da solo, ma in una casa e in una comunità grandi quanto il mondo, la Chiesa. E la Chiesa, afferma, è la “Madre che ci dà l’identità”:

“L’identità cristiana è l’appartenenza alla Chiesa (...) perché, trovare Gesù fuori della Chiesa non è possibile (...) E quella Chiesa Madre che ci dà Gesù ci dà l’identità che non è soltanto un sigillo: è un’appartenenza. Identità significa appartenenza”.

E l’appartenenza non può essere che forte, se si considera che l’identità cristiana è stata acquistata a prezzo del sangue, dal Calvario di duemila anni fa ai Golgota sui quali muoiono i cristiani di oggi. Ma anche qui, Papa Francesco mette in guardia. Seguire Gesù fino al centuplo e alla vita eterna è una scelta definitiva che stride con quel “fascino del provvisorio” che spesso seduce anche l’uomo di fede, che al salto verso un impegno definitivo preferisce mille passettini che girano in tondo:

“Ho sentito di uno che voleva diventare prete, ma per dieci anni, non di più… Quante coppie, quante coppie si sposano, senza dirlo, ma nel cuore: ‘fin che dura l’amore e poi vediamo…’ Il fascino del provvisorio: questa è una ricchezza (...) Io penso a tanti, tanti uomini e donne che hanno lasciato la propria terra per andare come missionari per tutta la vita: quello è il definitivo!”.

All’ambiguo fascino del provvisorio, Papa Francesco ha sempre opposto una schietta direzione di marcia, quella che punta verso le “periferie dell’esistenza”. E per uscire e avviarsi in quella direzione – che è poi seguire Cristo sullo stile di San Benedetto e del suo “ora et labora” – bisogna prima uscire dall’angolo in ombra del cuore grazie alla luce dalla preghiera. Quella che funge da “navigatore” e conferma che non si è “cristiani da salotto”, con le facce tristi “da peperoncini all’aceto”, ma uomini e donne che prima in ginocchio e poi in azione sono in cammino verso la promessa del centuplo e della vita eterna:

“La preghiera verso il Padre in nome di Gesù ci fa uscire da noi stessi; la preghiera che ci annoia è sempre dentro noi stessi, come un pensiero che va e viene (…) Se noi non riusciamo ad uscire da noi stessi verso il fratello bisognoso, verso il malato, l’ignorante, il povero, lo sfruttato, se noi non riusciamo a fare questa uscita da noi stessi verso quelle piaghe, non impareremo mai la libertà che ci porta nell’altra uscita da noi stessi, verso le piaghe di Gesù. Ci sono due uscite da noi stessi: una verso le piaghe di Gesù, l’altra verso le piaghe dei nostri fratelli e sorelle. E questa è la strada che Gesù vuole nella nostra preghiera”.

Ultimo aggiornamento: 12 luglio







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