2013-07-10 12:20:15

Tenerezza di Dio, Croce e preghiera: il commento di don Willy Volonté alle parole del Papa a seminaristi e novizie


Nel cuore di tanti seminaristi e novizie riecheggiano ancora le parole che Papa Francesco ha rivolto loro durante il pellegrinaggio dei giorni scorsi a Roma. "La Chiesa - aveva detto il Papa - è la sposa di Cristo e voi siete i fidanzati di questa; rappresentate la primavera e la giovinezza della Chiesa in questo periodo della scoperta, della verifica e della formazione". Il Pontefice ha indicato, in particolare, tre elementi che caratterizzano la missione di chi è chiamato alla sequela Cristo: consolazione o tenerezza di Dio, Croce e preghiera. Ascoltiamo in proposito la riflessione di don Willy Volonté, rettore da circa 10 anni del Seminario diocesano San Carlo di Lugano in Svizzera, intervistato da Daniel Ienciui:RealAudioMP3

R. – Il Papa ha intenzione di lanciare i seminaristi e i futuri consacrati nella missione. Bisogna, allora, dare una configurazione di questo missionario. E indica appunto queste tre sottolineature. La gioia della consolazione anzitutto. Lui dice che la missione non è un’impresa umana, fare delle cose: il compito di un consacrato è quello di andare a consolare il popolo del Signore, fargli sperimentare la tenerezza di Dio. E oggi l’uomo ha bisogno di sentirsi amato da Dio, di sentirsi compreso e incoraggiato. Chi lo può fare, se non chi ha già sperimentato in se stesso, con la sua umanità ferita che ha goduto già la consolazione di un Dio vicino? In fondo si comunica solo ciò che già si è sperimentato nella propria esistenza. Il futuro prete consacrato è una persona che ha già fatto l’esperienza di un Dio, che si è preso a cuore la propria vita. Lo constato tutte le volte, ogni giorno direi, come rettore in una casa di formazione, che è il seminario. I giovani che chiedono di entrare in seminario non sono diversi dai loro coetanei: sono anche loro portatori di questa mentalità corrente e anch’essi sono feriti da questa cultura del provvisorio. Hanno bisogno di fare anzitutto in loro stessi l’esperienza di un Dio che consola. Una volta fatto questo, possono portarlo agli altri.

D. – Per quanto riguarda il secondo elemento elencato dal Papa, che è la Croce, cosa ci può dire?

R. - “La Croce di Cristo, nella fecondità pastorale dell’annuncio evangelico, se non passa dal segno di donazione totale di sé, come quello di Cristo in Croce, non porta frutti”, dice il Papa. E il futuro presbitero consacrato deve imparare il senso di questo dono totale di sé e la sua misura ultima nel Cristo crocifisso risorto. Solo la Croce è l’imitazione di quel gesto salvifico e, quindi, rende sacra ogni azione pastorale. La paternità feconda di un pastore alla dimensione della Croce: “Io sono stato crocifisso con Cristo - ripete San Paolo – e porto con me e in me, nel mio corpo, le sue stigmate”. Quindi, il tempo del seminario, della casa di formazione, è il tempo che deve consentire al futuro consacrato di prendere la forma del Cristo crocifisso e glorioso. Questo tempo di formazione, dunque, è veramente un tempo di conversione, cioè di cambiamento radicale di mentalità.

D. – Il terzo elemento è la preghiera...

R. - La preghiera, che ha certamente forme di espressione esteriore, ma è prima ancora, e anzitutto, un rimanere permanentemente dentro lo sguardo di Dio. San Paolo diceva: “Io, in me, ho lo stesso sentire di Cristo”. La preghiera, quindi, è uno stato di vita, prima che essere un insieme espressivo, che pure è necessario. E la preghiera è anzitutto l’espressione di un’appartenenza, di un’appartenenza a Cristo. Allora, “senza preghiera, senza questo esistenziale modo d’essere non si può essere degli evangelizzatori, perché ci trasformeremmo in protagonisti, anziché essere solo discepoli”, dice il Papa.







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