Tenerezza di Dio, Croce e preghiera: il commento di don Willy Volonté alle parole
del Papa a seminaristi e novizie
Nel cuore di tanti seminaristi e novizie riecheggiano ancora le parole che Papa Francesco
ha rivolto loro durante il pellegrinaggio dei giorni scorsi a Roma. "La Chiesa - aveva
detto il Papa - è la sposa di Cristo e voi siete i fidanzati di questa; rappresentate
la primavera e la giovinezza della Chiesa in questo periodo della scoperta, della
verifica e della formazione". Il Pontefice ha indicato, in particolare, tre elementi
che caratterizzano la missione di chi è chiamato alla sequela Cristo: consolazione
o tenerezza di Dio, Croce e preghiera. Ascoltiamo in proposito la riflessione di don
Willy Volonté, rettore da circa 10 anni del Seminario diocesano San Carlo di Lugano
in Svizzera, intervistato da Daniel Ienciui:
R. – Il Papa
ha intenzione di lanciare i seminaristi e i futuri consacrati nella missione. Bisogna,
allora, dare una configurazione di questo missionario. E indica appunto queste tre
sottolineature. La gioia della consolazione anzitutto. Lui dice che la missione non
è un’impresa umana, fare delle cose: il compito di un consacrato è quello di andare
a consolare il popolo del Signore, fargli sperimentare la tenerezza di Dio. E oggi
l’uomo ha bisogno di sentirsi amato da Dio, di sentirsi compreso e incoraggiato. Chi
lo può fare, se non chi ha già sperimentato in se stesso, con la sua umanità ferita
che ha goduto già la consolazione di un Dio vicino? In fondo si comunica solo ciò
che già si è sperimentato nella propria esistenza. Il futuro prete consacrato è una
persona che ha già fatto l’esperienza di un Dio, che si è preso a cuore la propria
vita. Lo constato tutte le volte, ogni giorno direi, come rettore in una casa di formazione,
che è il seminario. I giovani che chiedono di entrare in seminario non sono diversi
dai loro coetanei: sono anche loro portatori di questa mentalità corrente e anch’essi
sono feriti da questa cultura del provvisorio. Hanno bisogno di fare anzitutto in
loro stessi l’esperienza di un Dio che consola. Una volta fatto questo, possono portarlo
agli altri.
D. – Per quanto riguarda il secondo elemento elencato dal Papa,
che è la Croce, cosa ci può dire?
R. - “La Croce di Cristo, nella fecondità
pastorale dell’annuncio evangelico, se non passa dal segno di donazione totale di
sé, come quello di Cristo in Croce, non porta frutti”, dice il Papa. E il futuro presbitero
consacrato deve imparare il senso di questo dono totale di sé e la sua misura ultima
nel Cristo crocifisso risorto. Solo la Croce è l’imitazione di quel gesto salvifico
e, quindi, rende sacra ogni azione pastorale. La paternità feconda di un pastore alla
dimensione della Croce: “Io sono stato crocifisso con Cristo - ripete San Paolo –
e porto con me e in me, nel mio corpo, le sue stigmate”. Quindi, il tempo del seminario,
della casa di formazione, è il tempo che deve consentire al futuro consacrato di prendere
la forma del Cristo crocifisso e glorioso. Questo tempo di formazione, dunque, è veramente
un tempo di conversione, cioè di cambiamento radicale di mentalità.
D. – Il
terzo elemento è la preghiera...
R. - La preghiera, che ha certamente forme
di espressione esteriore, ma è prima ancora, e anzitutto, un rimanere permanentemente
dentro lo sguardo di Dio. San Paolo diceva: “Io, in me, ho lo stesso sentire di Cristo”.
La preghiera, quindi, è uno stato di vita, prima che essere un insieme espressivo,
che pure è necessario. E la preghiera è anzitutto l’espressione di un’appartenenza,
di un’appartenenza a Cristo. Allora, “senza preghiera, senza questo esistenziale modo
d’essere non si può essere degli evangelizzatori, perché ci trasformeremmo in protagonisti,
anziché essere solo discepoli”, dice il Papa.