2013-07-09 12:40:24

Sud Sudan: 2° anniversario dell'indipendenza. Una suora: è una nazione da costruire


Ieri, il Sud Sudan, alla presenza di vari leader della regione, ha celebrato il secondo anniversario dell’indipendenza da Khartoum, raggiunta dopo una ventennale guerra civile. Nella circostanza, una serie di gruppi della società civile ha inoltrato al presidente Kiir un appello per l'abolizione della pena di morte, firmato anche dai Padri Comboniani. E proprio alla superiora provinciale delle Missionarie comboniane in Sud Sudan, suor Giovanna Sguazza, Davide Maggiore ha chiesto quali siano oggi le condizioni del Paese:RealAudioMP3

R. – La situazione è in salita. E’ un Paese che era stato distrutto dalla guerra e che deve iniziare un cammino nuovo, con una popolazione giovane che ha bisogno di essere educata ai valori: della pace, della concordia, dell’onestà, della convivenza. E’ tutto da fare. E’ ancora tutto nel programma. In effetti, abbiamo visto poco in questi due anni.

D. – Le emergenze più grandi quali sono?

R. – A mio avviso, un’emergenza è il bisogno di sicurezza sul fatto che i viaggi si possano compiere, che vi sia possibilità di movimento e di intesa fra i diversi gruppi del Sud Sudan. C’è molta insicurezza ancora, ci sono diversi gruppi ribelli. Un’emergenza grossa è avere le infrastrutture, scuole e ospedali, direi soprattutto nelle campagne, dove ci sono posti remoti che non sono ancora raggiunti dai servizi sociali e dove la gente ha bisogno. Ci sono molte organizzazioni non governative in Sud Sudan, impariamo a lavorare assieme. Bisogna avere pazienza e lavorare insieme: aiutare il Sud Sudan a essere una nazione, un popolo, e aiutare la gente a capire che anche loro devono contribuire con il loro lavoro, con la loro presenza, a costruire questa nazione.

D. – Quanto incidono sulla situazione ancora precaria del Sud Sudan i rapporti con il suo vicino, con Khartoum?

R. – Questi due anni sono stati due anni di fatica e di malintesi fra i due governi per diversi motivi, il petrolio, i confini delle nazioni, la popolazione del sud che è nel nord, che è in Sudan, e viceversa. Questi problemi grossi, che incidono sullo sviluppo dei due Paesi, non vengono affrontati. Alcuni accordi sono stati fatti ma poi non vengono messi in pratica. I due Paesi devono capire che le relazioni fra questi due Paesi saranno sempre diversi dalla relazione con l’Uganda o col Kenya perché sono stati un Paese unico fino a due anni fa. Ora, non si può completamente tagliare, percorrere questo cammino come se fossero due nazioni che non si sono conosciute, che non sono formate da gente che ha vissuto insieme. Questo è qualcosa che le popolazioni e i governi devono capire. Devono essere due fratelli.

D. – In questi due anni, in che modo la Chiesa ha accompagnato la popolazione? Quali sono state le attività della Chiesa e in particolare dei missionari?

R. – La Chiesa nel Sud Sudan, durante la guerra, è stata portavoce, è stata veramente madre durante questi tempi di guerra. In questi due anni di pace, è rimasta ancora una Conferenza episcopale con quattro vescovi a nord e molti più vescovi al sud. Tuttavia, i bisogni pastorali sia al Sudan che al sud sono molto diversi. Direi che al sud la Chiesa sta vedendo come aiutare la gente a vivere la riconciliazione e la pace. I missionari sono presenti e aiutano nello sviluppo e direi che la loro presenza oggi è ancora più necessaria. Faccio un invito a molti altri missionari di venire in Sud Sudan perché i bisogni sono tantissimi, sono tantissimi e urgenti. Siamo qui ma siamo ancora in pochi, abbiamo bisogno di aiuto.

Ultimo aggiornamento: 10 luglio







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