Mons. Mogavero: da Lampedusa, un grido di civiltà e una domanda di umanesimo
Un “approdo” altamente simbolico, quello di Papa Francesco a Lampedusa, che è riuscito
a portare in primo piano il dramma dell’immigrazione, troppo spesso legato alla sola
dinamica dei numeri e delle difficoltà. Per un bilancio su questo breve ma intenso
viaggio di Papa Francesco a Lampedusa, Luca Collodi ha intervistato mons.
Domenico Mogavero, vescovo di Mazzara del Vallo:
R. – Sicuramente
la presenza del Papa a Lampedusa ha tolto a questo mare e a quest’isola quel carattere
quasi di maledizione che le era stato cucito addosso dagli eventi di questi ultimi
anni. Il gesto del Papa è altamente profetico, sia per il gesto in sé che il magistero
che da Lampedusa il Papa ha rivolto alla Chiesa e al mondo. Non trascurerei l’aspetto
intraecclesiale del significato della visita del Papa. Anche all’interno della Chiesa,
infatti, abbiamo bisogno di tanta purificazione riguardo a questo. Il messaggio che
ha rivolto al mondo, appunto, è che da Lampedusa si leva un grido di civiltà e si
leva anche una domanda di un umanesimo nuovo. Il Papa poi si è anche messo sulla linea
dei grandi gesti di Giovanni Paolo II, chiedendo perdono per tutto quello che a Lampedusa
è successo e accollandosi la responsabilità - che non è sua diretta, ovviamente –
di un’umanità che ha chiuso gli occhi, ha voltato le spalle alla sofferenza di tanti
fratelli, che domandavano speranza e domandavano accettazione, per una vita che fosse
degna di loro.
D. – Il Papa ha sottolineato come la globalizzazione economica
apra la strada al dramma delle migrazioni. Anche qui è un messaggio molto concreto,
che richiama alla Dottrina sociale della Chiesa ed è anche forse un richiamo a quelle
che sono le dottrine economiche di oggi…
R. – Sicuramente. Le povertà potrebbero
favorire la comunione tra gli ultimi, mentre la ricchezza sicuramente rende insensibili
al grido di aiuto del povero. Mi è piaciuto molto quel riferimento alla “globalizzazione
dell’indifferenza”. Una sferzata poderosa che il Papa ha dato a tutti, perché forse
è la posizione più comoda, quella di chi non prende un atteggiamento, di chi dice:
“Beh, tutto sommato io non sono a Lampedusa, io da qui posso fare poco o niente, e
quel poco che posso fare mi mette la coscienza a posto, al resto pensino gli altri”.
Questa globalizzazione dell’indifferenza che il Papa ha voluto superare proprio con
le modalità del suo gesto: quello di volerci essere, di essere presente, di dire –
ha citato in maniera molto provocatoria la parabola del Buon Samaritano – “Io voglio
venirti accanto, voglio rendermi conto, voglio, soprattutto, essere vicino a coloro
che hanno perso la vita, cercando la speranza”. E’ stato molto bello questo gesto
di voler pregare per i defunti, per dire il cordoglio, per dire la compassione, per
dire l’apertura del cuore. Il voler pensare a coloro ai quali il pensiero, materialisticamente
parlando, oggi non serve più, perché sono morti. La loro però è una morte che continua
a gridare. E la domanda ultima che ha posto il Papa credo che, sotto questo profilo,
sia un appello diretto al nostro cuore. Prima ha ricordato la domanda posta da Dio
ad Adamo; poi la domanda posta a Caino, e alla fine lui ha chiesto: “Chi ha pianto
per questi morti?”