2013-07-08 13:52:40

Mons. Mogavero: da Lampedusa, un grido di civiltà e una domanda di umanesimo


Un “approdo” altamente simbolico, quello di Papa Francesco a Lampedusa, che è riuscito a portare in primo piano il dramma dell’immigrazione, troppo spesso legato alla sola dinamica dei numeri e delle difficoltà. Per un bilancio su questo breve ma intenso viaggio di Papa Francesco a Lampedusa, Luca Collodi ha intervistato mons. Domenico Mogavero, vescovo di Mazzara del Vallo:RealAudioMP3

R. – Sicuramente la presenza del Papa a Lampedusa ha tolto a questo mare e a quest’isola quel carattere quasi di maledizione che le era stato cucito addosso dagli eventi di questi ultimi anni. Il gesto del Papa è altamente profetico, sia per il gesto in sé che il magistero che da Lampedusa il Papa ha rivolto alla Chiesa e al mondo. Non trascurerei l’aspetto intraecclesiale del significato della visita del Papa. Anche all’interno della Chiesa, infatti, abbiamo bisogno di tanta purificazione riguardo a questo. Il messaggio che ha rivolto al mondo, appunto, è che da Lampedusa si leva un grido di civiltà e si leva anche una domanda di un umanesimo nuovo. Il Papa poi si è anche messo sulla linea dei grandi gesti di Giovanni Paolo II, chiedendo perdono per tutto quello che a Lampedusa è successo e accollandosi la responsabilità - che non è sua diretta, ovviamente – di un’umanità che ha chiuso gli occhi, ha voltato le spalle alla sofferenza di tanti fratelli, che domandavano speranza e domandavano accettazione, per una vita che fosse degna di loro.

D. – Il Papa ha sottolineato come la globalizzazione economica apra la strada al dramma delle migrazioni. Anche qui è un messaggio molto concreto, che richiama alla Dottrina sociale della Chiesa ed è anche forse un richiamo a quelle che sono le dottrine economiche di oggi…

R. – Sicuramente. Le povertà potrebbero favorire la comunione tra gli ultimi, mentre la ricchezza sicuramente rende insensibili al grido di aiuto del povero. Mi è piaciuto molto quel riferimento alla “globalizzazione dell’indifferenza”. Una sferzata poderosa che il Papa ha dato a tutti, perché forse è la posizione più comoda, quella di chi non prende un atteggiamento, di chi dice: “Beh, tutto sommato io non sono a Lampedusa, io da qui posso fare poco o niente, e quel poco che posso fare mi mette la coscienza a posto, al resto pensino gli altri”. Questa globalizzazione dell’indifferenza che il Papa ha voluto superare proprio con le modalità del suo gesto: quello di volerci essere, di essere presente, di dire – ha citato in maniera molto provocatoria la parabola del Buon Samaritano – “Io voglio venirti accanto, voglio rendermi conto, voglio, soprattutto, essere vicino a coloro che hanno perso la vita, cercando la speranza”. E’ stato molto bello questo gesto di voler pregare per i defunti, per dire il cordoglio, per dire la compassione, per dire l’apertura del cuore. Il voler pensare a coloro ai quali il pensiero, materialisticamente parlando, oggi non serve più, perché sono morti. La loro però è una morte che continua a gridare. E la domanda ultima che ha posto il Papa credo che, sotto questo profilo, sia un appello diretto al nostro cuore. Prima ha ricordato la domanda posta da Dio ad Adamo; poi la domanda posta a Caino, e alla fine lui ha chiesto: “Chi ha pianto per questi morti?”







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