Il Papa a Lampedusa: chi ha pianto per quanti sono morti in mare?
In mezzo a chi soffre per scuotere le coscienze e vincere l’indifferenza che ci rende
insensibili. E’ quanto Papa Francesco ha testimoniato con la sua storica visita a
Lampedusa (8 luglio). Il Papa venuto dalla “fine del mondo” ha voluto compiere il
suo primo viaggio apostolico nell’estrema periferia dell’Europa, dove la sofferenza
dei migranti in cerca di speranza si incrocia con la generosità della comunità dell’isola.
Momento culminante della visita, tanto breve quanto intensa, è stata la Messa all’
“Arena”, il piccolo stadio di Lampedusa gremito di fedeli e migranti, oltre 10 mila
persone. Sulla celebrazione di Papa Francesco, il servizio di Alessandro Gisotti:
La periferia
che diventa centro, gli ultimi che diventano i primi. E’ il “miracolo” compiuto da
Francesco a Lampedusa. Il Papa doveva venire qui, lui stesso confida questa necessità
del cuore. Doveva guardare, sentire, abbracciare chi soffre e chi si fa ogni giorno
“buon samaritano” per gli ultimi. Alla Messa, dal palco, può scorgere le carcasse
delle imbarcazioni dei migranti. E il suo pastorale – come il calice, l’ambone, l’altare
– è realizzato con il legno delle barche che ogni giorno solcano il mare di Lampedusa.
Simboli, come la scelta delle letture e i paramenti, che vogliono sottolineare la
dimensione penitenziale della celebrazione. Il Pontefice inizia l’omelia indicando
proprio il motivo per il quale si è recato a Lampedusa: l’ennesima tragedia della
migrazione. Una notizia, ha detto, che è stata “come una spina nel cuore che porta
sofferenza”, pensare a quelle barche che “invece di essere una via di speranza sono
state una via di morte”:
“E allora ho sentito che dovevo venire qui oggi
a pregare, a compiere un gesto di vicinanza, ma anche a risvegliare le nostre coscienze
perché ciò che è accaduto non si ripeta. Non si ripeta, per favore!”.
Il
Papa non manca però di ricordare subito, con gratitudine, quanti, a Lampedusa come
a Linosa, mostrano attenzione per le persone che viaggiano “verso qualcosa di migliore”:
“Voi
siete una piccola realtà, ma offrite un esempio di solidarietà! Grazie!”.
E
ringrazia espressamente il sindaco di Lampedusa, Giusy Nicolini, e l’arcivescovo di
Agrigento, Francesco Montenegro, per quello che fa, per l’aiuto, la sua vicinanza
pastorale. Poi aggiunge:
“Un pensiero lo rivolgo ai cari immigrati musulmani
che stanno iniziando il digiuno di Ramadan, con l’augurio di abbondanti frutti spirituali.
La Chiesa vi è vicina nella ricerca di una vita più dignitosa per voi e le vostre
famiglie. A voi: O’ Scià!”
Il Papa ha così rivolto il pensiero alle domande
che le letture del giorno suscitano alla coscienza di ogni uomo, di ogni tempo. “Adamo,
dove sei?”, “Caino dov’è il tuo fratello”. Con il peccato, ha osservato, si rompe
l’armonia e l’altro “non è più il fratello da amare, ma semplicemente l’altro che
disturba la mia vita, il mio benessere”. L’uomo diventa allora “disorientato” perché
ha perso “il suo posto nella creazione” e crede “di diventare potente, di poter dominare
tutto, di essere Dio”:
“Tanti di noi, mi includo anch’io, siamo disorientati,
non siamo più attenti al mondo in cui viviamo, non curiamo, non custodiamo quello
che Dio ha creato per tutti e non siamo più capaci neppure di custodirci gli uni gli
altri. E quando questo disorientamento assume le dimensioni del mondo, si giunge a
tragedie come quella a cui abbiamo assistito”.
“Dov’è tuo fratello?”,
domanda ancora il Papa. Questa, ha ribadito, “non è una domanda rivolta ad altri”,
ma a ciascuno di noi:
“Quei nostri fratelli e sorelle cercavano di uscire
da situazioni difficili per trovare un po’ di serenità e di pace; cercavano un posto
migliore per sé e per le loro famiglie, ma hanno trovato la morte. Quante volte coloro
che cercano questo non trovano comprensione, non trovano accoglienza, non trovano
solidarietà! E le loro voci salgono fino a Dio!”
Quindi, ha denunciato
con forza l’azione dei trafficanti, “quelli che sfruttano la povertà degli altri”
e ne fanno “una fonte di guadagno”. Richiamando poi l’opera letteraria spagnola Fuente
Ovejuna, ha evidenziato che anche oggi, come nella commedia di Lope de Vega, siamo
portati a rispondere “tutti e nessuno” quando vengono chieste le nostre responsabilità:
“Chi
è il responsabile del sangue di questi fratelli e sorelle? Nessuno! Tutti noi rispondiamo
così: non sono io, io non c’entro, saranno altri, non certo io. Ma Dio chiede a ciascuno
di noi: ‘Dov’è il sangue di tuo fratello che grida fino a me?’. Oggi nessuno nel mondo
si sente responsabile di questo; abbiamo perso il senso della responsabilità fraterna”.
Papa
Francesco ha soggiunto che “siamo caduti nell’atteggiamento ipocrita del sacerdote
e del servitore dell’altare, di cui parlava Gesù nella parabola del Buon Samaritano”.
Anche noi, ha avvertito, “guardiamo il fratello mezzo morto sul ciglio della strada,
forse pensiamo ‘poverino’, e continuiamo per la nostra strada, non è compito nostro;
e con questo ci sentiamo a posto”:
“La cultura del benessere, che ci porta
a pensare a noi stessi, ci rende insensibili alle grida degli altri, ci fa vivere
in bolle di sapone, che sono belle, ma non sono nulla, sono l’illusione del futile,
del provvisorio, che porta all’indifferenza verso gli altri, anzi porta alla globalizzazione
dell’indifferenza. In questo mondo della globalizzazione siamo caduti nella globalizzazione
dell’indifferenza! Ci siamo abituati alla sofferenza dell’altro, non ci riguarda,
non ci interessa, non è affare nostro!”.
Ritorna, ha detto il Papa, “la
figura dell’Innominato di Manzoni”. La “globalizzazione dell’indifferenza – ha constatato
con amarezza – ci rende tutti ‘innominati’, responsabili senza nome e senza volto”.
Papa Francesco ha dunque levato una terza, drammatica domanda: “Chi di noi ha pianto
per questo fatto e per fatti come questo?”:
“Chi ha pianto per la morte
di questi fratelli e sorelle? Chi ha pianto per queste persone che erano sulla barca?
Per le giovani mamme che portavano i loro bambini? Per questi uomini che desideravano
qualcosa per sostenere le proprie famiglie? Siamo una società che ha dimenticato l’esperienza
del piangere, del ‘patire con’: la globalizzazione dell’indifferenza ci ha tolto la
capacità di piangere!”.
Nel Vangelo, ha detto ancora, abbiamo ascoltato
il grido di Rachele che piange la morte dei suoi figli. Erode, ha detto, “ha seminato
morte per difendere il proprio benessere, la propria bolla di sapone. E questo continua
a ripetersi”:
“Domandiamo al Signore che cancelli ciò che di Erode è rimasto
anche nel nostro cuore; domandiamo al Signore la grazia di piangere sulla nostra indifferenza,
di piangere sulla crudeltà che c’è nel mondo, in noi, anche in coloro che nell’anonimato
prendono decisioni socio-economiche che aprono la strada a drammi come questo. ‘Chi
ha pianto?’. Chi ha pianto oggi nel mondo?”.
Il Papa ha concluso l’omelia
chiedendo perdono al Signore per “l’indifferenza verso tanti fratelli e sorelle”,
per “l’anestesia del cuore” causata dal chiuderci nel nostro benessere. “Chiediamo
perdono – ha detto – per coloro che con le loro decisioni a livello mondiale hanno
creato situazioni che conducono a questi drammi”. Al termine della celebrazione, l’arcivescovo
di Agrigento, mons. Francesco Montenegro, ha sintetizzato la gioia, la gratitudine
e la commozione della gente di Lampedusa, migranti e comunità locale:
“Santo
Padre, nel Suo abbraccio ci sentiamo tutti accolti, coloro che soffrono, e gli artigiani
della pace che hanno fame e sete di giustizia. La Sua presenza e le parole da Lei
pronunciate sono di sostegno sia per i nostri fratelli immigrati sia per le comunità
di Lampedusa e Linosa che tante volte hanno portato un peso troppo grande facendosi
carico di situazioni difficili affrontate sempre con grande generosità e amore. Grazie
ancora Santo Padre!”.
Parole a cui ha risposto il Papa con un nuovo grazie
ai lampedusani e, in particolare al parroco don Stefano Nastasi e alla sua comunità,
per essere faro di solidarietà nell’accogliere con coraggio ma anche con “tenerezza”
quanti cercano una vita migliore:
“Voglio ringraziarvi una volta in più,
a voi lampedusani, per l’esempio di amore, per l’esempio di carità, per l’esempio
di accoglienza che ci state dando, che avete dato e che ancora ci date. (…) Grazie
a voi e grazie a lei, don Stefano” (applausi).