Negli scontri in Egitto: ucciso nel Sinai un sacerdote copto
Dunque in questa fase si parla tanto di El Baradei, premio nobel ed ex presidente
dell’Aiea. Su questa ipotesi abbiamo sentito Germano Dottori, docente di Studi
strategici all’Università Luiss:
R. - Del movimento
noto come Tamarrod in realtà noi purtroppo sappiamo ancora ben poco. L’unica cosa
che siamo venuti a sapere è che c’è una certa area di sovrapposizione tra questo nuovo
movimento e quelli che li hanno preceduti nel 2011 ed ancora prima. In particolare
la matrice sembra essere rappresentata dal movimento Kefaia che svolse già un ruolo
importante nei fatti del gennaio/febbraio 2001.
D. – Però, poi, c’è il ruolo
degli islamisti: nella notte hanno fatto appello a mantenere la mobilitazione in Egitto…
R.
- In queste ore in Egitto si sta svolgendo un confronto tra mobilitazioni contrapposte,
perché evidentemente la Fratellanza Musulmana che ha perso apparentemente il controllo
del Paese reagisce e mostra i muscoli. Tra le altre cose, stanno giungendo voci dall’Egitto
secondo le quali l’esercito in realtà non sarebbe più compatto ed in particolare all’interno
della Guardia Repubblicana ci sono, o ci sarebbero, elementi che starebbero tentando
di reinsediare il presidente Morsi. La situazione, in un certo senso, è tutt’altro
che stabilizzata ed è questa la grande preoccupazione che hanno tutte le cancellerie,
specialmente quelle occidentali: tutti erano preoccupati che questo potesse essere
il preludio di una guerra civile. Speriamo che le preoccupazioni non si materializzino.
D. - Nelle ultime ore, dai governi dell’Arabia Saudita, Kuwait e degli Emirati
Arabi Uniti sono giunte promesse di aiuti finanziari, prestiti o addirittura donazioni.
Sappiamo che l’Egitto è passato negli ultimi tempi dai 36 miliardi del 2010 di riserve
di valuta straniera, ai circa 16 miliardi di oggi. Ma perché questo aiuto così immediato
dopo queste ultime vicende?
R. - Perché l’Arabia Saudita ed i suoi satelliti
del Golfo sono i veri vincitori - almeno finora - di quello che è accaduto in Egitto.
I Sauditi hanno finanziato negli ultimi mesi tutte le opposizioni al presidente Morsi.
Questo perché per gli Al Saud è di un’importanza straordinaria fermare l’avanzata
della Fratellanza Musulmana che rappresenta una minaccia anche alla stabilità del
loro regno. Dall’altro lato, si trova virtualmente soltanto il Qatar che invece è
stato un grande sponsor dell’ascesa della Fratellanza Musulmana negli ultimi anni,
anche se il nuovo emiro - il giovane Tamim che è succeduto pochi giorni fa a suo padre
- è probabilmente meno ambizioso e più moderato sotto questo punto di vista. Noi in
realtà stiamo assistendo in Egitto allo sviluppo di una partita straordinariamente
complessa che si presta a più chiavi di lettura.
D. - Il segretario generale
dell’Onu Ban Ki-moon lancia un forte appello a tutte le parti in Egitto “affinché
lavorino insieme per ripristinare” - dice - “l’ordine costituzionale e la governance
democratica”. Ma a che punto eravamo a proposito di ordine costituzionale e governance
democratica?
R. - Il problema è che per avere un sistema democratico, come
lo conosciamo noi occidentali, non basta avere delle elezioni: occorre che chi vince
non tenti di stabilire un regime e soprattutto non determini regole del gioco che
cambiano la natura di un sistema sociale. Quello che sta accadendo in Egitto è il
riflesso di una reazione al tentativo della Fratellanza Musulmana e del presidente
Morsi di modificare in modo irreversibile alcune caratteristiche della società egiziana.