Lumen Fidei, collaborazione riuscita nella continuità
“La fede apre gli
occhi, porta luce dentro l’esistenza umana. L’enciclica lo afferma quasi per rispondere
alla pretesa del secolarismo di riconoscere solo alla ragione il merito di illuminare
l’uomo. Una pretesa in cui è evidente il retaggio dell’illuminismo”. Così, mons.
Giacomo Canobbio, teologo, illustra le motivazioni fondamentali della lettera
enciclica “Lumen fidei”, la prima firmata da Papa Francesco che, come
spiega il Pontefice stesso nell’introduzione, ingloba e completa un testo già preparato
dal suo predecessore, Benedetto XVI. “E’ una enciclica semplice che si legge molto
bene, benché tocchi temi fondamentali per un dialogo con la cultura attuale” commenta
mons. Canobbio. “Un testo in cui si colgono gli stili di entrambi i Pontefici.
Quello più professorale, coerente e logico, tipico di Benedetto XVI, e quello pastorale
tipico di Papa Francesco. Un accostamento che non crea contrapposizione ma è, anzi,
secondo me, prova di una collaborazione riuscita che richiama la continuità nell’insegnamento.
Mi pare che la “Lumen Fidei” possa essere utile per le persone che sono alla ricerca
e vogliono vivere la fede. L’ultima parte, in particolare, ci mostra la ricaduta
concreta della fede nella vita delle persone e della società”. “Il concetto che
la fede cristiana sia fede nell’Amore pieno, capace di trasformare il mondo – spiega
il teologo – è alla base di tutto il testo. La descrizione che viene fatta della fede
è, infatti, quella di una relazione personale. Si va oltre alla concezione della fede
come accettazione di verità espresse in proposizioni. La relazione con Dio, e soprattutto
con Gesù Cristo, è la descrizione più adeguata della fede. Dunque la fede non come
chiusura, ma come apertura più grande alla realtà, che include l’amore. Un’idea della
fede che ha una notevolissima dimensione pastorale, proprio perché solo la fede basata
sulla relazione con Dio rende possibile un futuro. Dio entra nella vita umana
come una promessa di futuro. Proprio perché si percepisce l’amore di Dio ci si apre
alla possibilità che questo amore trasformi l’esistenza e il mondo”. “Non caso – continua
mons. Canobbio – nel capitolo conclusivo si afferma che la fede è un bene per tutti,
un bene comune che illumina il vivere sociale. Proprio perché la verità che la fede
accoglie è la persona di Gesù, che è l’autorivelazione di Dio, allora la fede introduce
nell’esistenza una specie di collante. Se si accoglie comunemente una verità che
è amore si diventa capaci di relazioni accoglienti e ci si fa carico delle situazioni
degli altri. Perché nella presenza di Gesù nella storia si è avvertita la presenza
di Dio che si prende cura dell’uomo. La fede non serve solo a costruirsi una città
eterna nell’aldilà, ma a costruire le nostre società in modo che camminino verso un
futuro di speranza. Un accenno questo dov’è evidente l’eco del più recente magistero
di Papa Francesco sul senso autentico della fede cristiana per l’uomo e per la società”.
(A cura di Fabio Colagrande)