Egitto: 37 morti negli scontri . El Baradei nominato nuovo premier ad interim.
Ancora violenza in Egitto: il bilancio degli scontri delle ultime 24 ore parla di
37 morti e oltre mille feriti. Tra le vittime anche un sacerdote copto ucciso davanti
una chiesa nel Sinai dove resta alta l’allerta. Il segretario generale dell’Onu Ban
Ki moon mette in guardia da vendette e d esclusioni politiche. Intanto il presidente
Mansour ha sciolto anche il Senato e designato il leader dell’opposizione El Baradei
come nuovo premier ad interim: Cecilia Seppia
In
tutte le città egiziane ormai si fronteggiano due piazze: quella dei sostenitori del
deposto presidente Mohammed Morsi, quella infiammata invece dai seguaci delle forze
laiche e militari e il bilancio degli scontri sale di ora in ora, soprattutto ad Alessandria
e al Cairo con i dimostranti che hanno di nuovo invaso Tahrir. A perdere la vita oggi
anche un sacerdote cristiano copto, ucciso da uomini armati a bordo di un moto mentre
si trovava in macchina davanti alla sua chiesa nei pressi di al Arish, nel nord del
Sinai: qui sarebbe in atto un’offensiva per far tornare Morsi al potere con la creazione
di un gruppo armato e per precauzione i militari hanno sgomberato il Governatorato.
Sul fronte politico il presidente ad Mansour prosegue con l’attuazione della road
map dell’esercito che dovrebbe portare il Paese alla transizione: oggi ha sciolto
il Senato e dopo aver incontrato gli esponenti del movimento ribelle Tamarod, e i
ministri della Difesa e degli Interni, ha nominato il leader dell’opposizione El Baradei
premier ad interim. E mentre il segretario generale dell’Onu Ban Ki moon mette in
guardia da vendette ed esclusioni politiche dalla Fratellanza è arrivato un nuovo
stop all’offerta di dialogo e collaborazione lanciata da Mansour e un'ulteriore convocazione
della piazza per domani.
Del movimento Tamarod e delle contrapposizioni in
atto in Egitto, Fausta Speranza ha parlato con Germano Dottori, docente
di Studi strategici all’Università Luiss:
R. - Del movimento
noto come Tamarrod in realtà noi purtroppo sappiamo ancora ben poco. L’unica cosa
che siamo venuti a sapere è che c’è una certa area di sovrapposizione tra questo nuovo
movimento e quelli che li hanno preceduti nel 2011 ed ancora prima. In particolare
la matrice sembra essere rappresentata dal movimento Kefaia che svolse già un ruolo
importante nei fatti del gennaio/febbraio 2001.
D. – Però, poi, c’è il ruolo
degli islamisti: nella notte hanno fatto appello a mantenere la mobilitazione in Egitto…
R.
- In queste ore in Egitto si sta svolgendo un confronto tra mobilitazioni contrapposte,
perché evidentemente la Fratellanza Musulmana che ha perso apparentemente il controllo
del Paese reagisce e mostra i muscoli. Tra le altre cose, stanno giungendo voci dall’Egitto
secondo le quali l’esercito in realtà non sarebbe più compatto ed in particolare all’interno
della Guardia Repubblicana ci sono, o ci sarebbero, elementi che starebbero tentando
di reinsediare il presidente Morsi. La situazione, in un certo senso, è tutt’altro
che stabilizzata ed è questa la grande preoccupazione che hanno tutte le cancellerie,
specialmente quelle occidentali: tutti erano preoccupati che questo potesse essere
il preludio di una guerra civile. Speriamo che le preoccupazioni non si materializzino.
D. - Nelle ultime ore, dai governi dell’Arabia Saudita, Kuwait e degli Emirati
Arabi Uniti sono giunte promesse di aiuti finanziari, prestiti o addirittura donazioni.
Sappiamo che l’Egitto è passato negli ultimi tempi dai 36 miliardi del 2010 di riserve
di valuta straniera, ai circa 16 miliardi di oggi. Ma perché questo aiuto così immediato
dopo queste ultime vicende?
R. - Perché l’Arabia Saudita ed i suoi satelliti
del Golfo sono i veri vincitori - almeno finora - di quello che è accaduto in Egitto.
I Sauditi hanno finanziato negli ultimi mesi tutte le opposizioni al presidente Morsi.
Questo perché per gli Al Saud è di un’importanza straordinaria fermare l’avanzata
della Fratellanza Musulmana che rappresenta una minaccia anche alla stabilità del
loro regno. Dall’altro lato, si trova virtualmente soltanto il Qatar che invece è
stato un grande sponsor dell’ascesa della Fratellanza Musulmana negli ultimi anni,
anche se il nuovo emiro - il giovane Tamim che è succeduto pochi giorni fa a suo padre
- è probabilmente meno ambizioso e più moderato sotto questo punto di vista. Noi in
realtà stiamo assistendo in Egitto allo sviluppo di una partita straordinariamente
complessa che si presta a più chiavi di lettura.
D. - Il segretario generale
dell’Onu Ban Ki-moon lancia un forte appello a tutte le parti in Egitto “affinché
lavorino insieme per ripristinare” - dice - “l’ordine costituzionale e la governance
democratica”. Ma a che punto eravamo a proposito di ordine costituzionale e governance
democratica?
R. - Il problema è che per avere un sistema democratico, come
lo conosciamo noi occidentali, non basta avere delle elezioni: occorre che chi vince
non tenti di stabilire un regime e soprattutto non determini regole del gioco che
cambiano la natura di un sistema sociale. Quello che sta accadendo in Egitto è il
riflesso di una reazione al tentativo della Fratellanza Musulmana e del presidente
Morsi di modificare in modo irreversibile alcune caratteristiche della società egiziana.