Nel giorno dell’Indipendenza, Usa in festa ma fanno i conti con il datagate
Nel giorno dell’Indipendenza, ieri Obama ha ringraziato l'esercito per il contributo
di “pace e libertà nel mondo''. Gli Stati Uniti hanno celebrato con momenti di festa
la ricorrenza ma anche con crescenti misure di sicurezza. Il servizio di Elena
Molinari:
Sfilate
in costumi d’epoca, grigliate all’aperto, bandiere nelle strade e soprattutto fuochi
d’artificio. L’America ha celebrato ieri i 237 anni d’indipendenza dalla Gran Bretagna
con la consueta allegria, anche se con misure di sicurezza più strette dopo le bombe
di Boston dello scorso aprile e le tensioni in Egitto. A New York il quattro luglio
è stato reso più festoso dalla riapertura della Statua della Libertà, dopo i lavori
di restauro in seguito ai danni dell’uragano Sandy. Il presidente Obama e la moglie
Michelle hanno invitato alla Casa Bianca più di 200 militari con le loro famiglie
per un barbecue, mentre a Washington 100 neo-cittadini americani sono stati festeggiati
con una gigantesca torta. Ed è stato Obama a ricordare ai suoi connazionali il significato
di questo compleanno che ricorda, ha detto, “la nascita di una nazione su cui nessuno
avrebbe scommesso ma che ora è la più potente del mondo”. “L’America è un difensore
globale della pace e della libertà – ha concluso – un simbolo di speranza per le persone
che in qualunque luogo hanno cari quegli ideali”.
Ma è proprio nel giorno di
festa che è arrivata la minaccia del presidente della Bolivia di chiudere l’ambasciata
degli Stati Uniti a La Paz: Morales lamenta la pressione di Washington sui quattro
Paesi europei che hanno impedito temporaneamente al suo aereo il sorvolo dei loro
territori. Secondo Morales, per il sospetto che ospitasse a bordo l'ex consulente
informatico americano Edward Snowden. Intanto ferma condanna dello spionaggio su ambasciate
e istituzioni giunge dall’europarlamento che conferma però il negoziato per il libero
scambio tra Bruxelles e Washington. Del caso datagate, Marco Guerra ha parlato
con Tiziano Bonazzi, docente di Storia americana all’Università di Bologna:
R. - Può creare
una serie di problemi e di fastidi nei rapporti Usa-Ue, comprometterli sicuramente
no. D’altronde si è già visto con il caso dell’aereo del presidente boliviano, a cui
è stato proibito da parte dell’Italia, della Francia, del Portogallo, di sorvolare
i rispettivi spazi aerei nazionali, che queste nazioni tengono molto di più all’alleanza
con gli Stati Uniti di quanto non tengano alla difesa dei diritti di una persona che
certamente non ha compiuto reati formidabili ma che dal punto di vista americano può
essere giuridicamente considerato una spia.
D. - Gli Stati Uniti dal 2001 stanno
dimostrando quanto è difficile coniugare sicurezza e diritti individuali come quello
della privacy…
R. - E’ sicuramente vero ma c’è molto di più. C’è la vera e
propria ossessione americana per la sicurezza e la costruzione di un apparato di agency,
di informazione, che è qualcosa di assolutamente straordinario e che ha anche una
precisa data di origine: il National security act del 1947, quando proprio all’inizio
della Guerra Fredda, gli Stati Uniti cominciarono a dotarsi di una serie di strutture
per lo spionaggio all’estero e per lo spionaggio all’interno del Paese, a cominciare
dalla famosa National security agency di cui stiamo parlando in questi giorni. Da
allora non ha fatto altro che crescere ed è diventata una struttura talmente complessa
e talmente enorme da rendere spesso difficile e qualche volta anche da marginalizzare
l’opera del dipartimento di Stato in campo di politica estera.
D. - Per quanto
riguarda lo scacchiere internazionale molti analisti dicono che ormai il vero asse
degli Stati Uniti è con l’altra sponda del Pacifico, ovvero con la Cina…
R.
- In parte è vero ma proprio il tentativo americano di aprire trattative con la Comunità
europea per un nuovo trattato di libero scambio mostra una cosa diversa: cioè, è vero
che una forte parte del commercio internazionale americano di import-export è con
la Cina, è vero che la Cina ha in mano una forte percentuale del debito pubblico americano,
ma è ancor più vero che l’intreccio finanziario, l’intreccio economico, gli investimenti
americani con l’Europa sono talmente profondi, talmente radicati, talmente importanti
da non poter essere sacrificati a nulla, neppure al Pacifico. Per cui, sì, politicamente
gli Stati Uniti si rivolgono sempre di più al Pacifico; economicamente hanno bisogno
di un’Europa che cresca per poter essere finanziariamente ed economicamente stabili
loro stessi.
D. - Un altro punto dolente sono le primavere arabe. Gli Usa hanno
scommesso sull’appoggio ai ribelli libici e siriani e sul processo di transizione
egiziano. Allo stato attuale lo scacchiere arabo è nella completa instabilità…
R.
- Certamente è paradossale che gli Stati Uniti si trovino, come d’altronde tutti i
Paesi europei, ad appoggiare un colpo di Stato in Egitto che sinceramente non ha niente
di democratico ma che noi appoggiamo semplicemente perché i militari ci fanno politicamente
comodo e sembrano opporsi a persone con valori che sono molto lontani dai nostri.
La politica è anche sporca e i Paesi democratici come gli Stati Uniti di conseguenza
devono usare spesso o si trovano a usare spesso mezzi che con la democrazia non hanno
nulla a che vedere.