Erdogan a Gaza per riaffermare il ruolo della Turchia in Medio Oriente
Storica visita ieri, a Gaza, del primo ministro turco Recep Tayyip Erdogan. La trasferta
nella Striscia di Gaza controllata da Hamas arriva in un momento in cui il fallimento
del governo egiziano indebolisce le politiche "neo ottomane" nella regione portate
avanti da Ankara. La Turchia del premier Erdogan è infatti una forte sostenitrice
del movimento islamico e anche delle opposizioni siriane che "arrancano" sul terreno.
Per un commento della situazione, Marco Guerra ha sentito il giornalista Alberto
Rosselli, esperto dell’area:
R. – Sono diverse
le vicende che s’intrecciano, che stanno alla base della visita di Erdogan a Gaza:
i rapporti diretti fra Turchia e movimento palestinese, l’appoggio che Erdogan vorrebbe
dare al movimento palestinese nei suoi rapporti con Israele; una chiarificazione della
posizione della Turchia nei confronti della questione siriana; e una presa di posizione
della Turchia nei confronti di quella dell’Egitto. In questo caso, le opinioni sia
della Turchia che del movimento palestinese coincidono, riguardo alla questione egiziana
D. – Le velleità di leadership della Turchia in Medio Oriente hanno ancora
possibilità di successo?
R. – La Turchia fino ad una settimana fa marcava un
certo vantaggio nella corsa egemonica al controllo della situazione mediorientale.
La crisi egiziana “azzoppa” quella che è la strategia turca in Medio Oriente. La Turchia
si trova in una posizione più difficile, anche nel contesto della questione siriana.
Erdogan, molto probabilmente, sta perseguendo la sua politica e non intende sicuramente
mollarla, ma dovrà fare i conti anche con quelle che saranno le prese di posizione
delle grandi potenze: con la politica estera americana, che si sta dimostrando abbastanza
tentennante e bisognerà vedere anche i suoi rapporti con la Russia di Putin, sia per
la questione siriana, ma anche per la nuova situazione egiziana; e poi i rapporti
fra la Turchia e i Paesi arabi. Ricordiamo che la Turchia non è un Paese arabo, è
un Paese musulmano, e il variegato mosaico musulmano non ha giudicato in maniera unanime
il rovesciamento del presidente egiziano. Ci sono state posizioni differenti, a partire
dai Paesi del Golfo fino ad arrivare alla Tunisia. E’, quindi, un gioco a scacchi,
che Erdogan dovrà affrontare, ed è una cifra di disequilibrio in più in quella che
è la situazione mediorientale, già in qualche modo abbastanza compromessa dalla situazione
siriana.
D. – Che ruolo può giocare Ankara nel processo di pace israelo-palestinese?
R.
– E’ probabile che pur essendo interessato, Erdogan, a far deflagrare una crisi mediorientale,
che vede in qualche modo contrapposto di nuovo il popolo palestinese a Israele, va
da sé che le simpatie della Turchia nei confronti della causa palestinese vengano
in qualche modo rafforzate dagli ultimi recenti avvenimenti.
D. – Diciamo che
viene messa in crisi anche la proposta di un islam politico moderato, portata avanti
da Erdogan...
R. – Il cosiddetto islam moderato di Erdogan in realtà non è
un islam moderato, in quanto deve fare leva su quelli che sono i sentimenti del ventre
fondamentalista turco, che è tutt’altro che moderato e tutt’altro che modernista.
C’è anche una sorta di duplicità dell’atteggiamento di Erdogan. Da una parte, Erdogan
è effettivamente un modernista, ma è un modernista in senso economico, in senso finanziario
e non so fino a che punto sia un modernista in senso culturale.