Brasile. La denuncia di un missionario: è tornato libero l'assassino di suor Dorothy
Condannato a 27 di carcere per aver ammesso di aver assassinato nel 2005 suor Dorothy
Stang, Rayfran das Neves Sales ha potuto lasciare il carcere dopo averne scontati
solo otto per beneficiare degli arresti domiciliari: lo riferiscono all'agenzia Misna
fonti missionarie legate alla Commissione pastorale della Terra (Cpt) dello Stato
settentrionale amazzonico del Pará. “Il nostro avvocato – dicono – sta verificando
che sussistano davvero le condizioni per concedere questi privilegi: se così non fosse,
presenteremo ricorso”. Come in altri Paesi – spiegano le fonti della Cpt, organismo
legato alla Chiesa cattolica – la legge brasiliana concede il diritto a benefici del
genere nel caso di buona condotta in carcere. “Già nel 2010 – dicono – Rayfran aveva
ottenuto alcuni privilegi. Ora, stando al giudice, ha diritto di continuare a scontare
la condanna nella sua residenza, seppure con alcune restrizioni: dovrà trovarsi un
lavoro entro 60 giorni e dovrà rincasare entro le 22.00 e presentarsi regolarmente
ogni mese di fronte a un giudice. Inoltre non potrà frequentare luoghi pubblici”.
Ma chi avrà interesse a controllare che le regole siano rispettate? “La domanda è
più che legittima – rispondono le fonti consultate dalla Misna -. Nessuno avrà interesse.
Tanto più che Rayfran a Belém può contare su molti amici. Basta guardare cosa è successo
con Clodoaldo Batista, complice di Rayfran, condannato a 17 anni. Tre anni fa ha avuto
diritto a un permesso, è uscito dal carcere e non è mai tornato. Nessuno lo ha cercato.
E va anche ricordato che il 15 maggio scorso la Corte Suprema ha annullato la condanna
a 30 anni per il latifondista Vitalmiro Bastos de Moura, tra i mandanti dell’uccisione
di suor Dorothy”. Una vita spesa al fianco degli ‘ultimi’, Dorothy Stang, 73 anni,
missionaria statunitense naturalizzata brasiliana appartenente alla congregazione
delle Sorelle di Nostra Signora di Namur, fu uccisa a sangue freddo con sei colpi
di pistola il 12 febbraio 2005 ad Anapu, nel Pará. Stava andando con un collaboratore
all’insediamento rurale ‘Esperança’ (speranza), dove dal 1999 lavorava a un ‘Progetto
di sviluppo sostenibile’ per consentire a 400 famiglie di contadini indios, meticci
e immigrati di vivere in un’area di 1400 chilometri quadrati nel rispetto della natura
grazie ad un’agricoltura a bassa intensità e ai prodotti della foresta. “Questa non
è una storia di altri tempi, succede ancora oggi e di continuo. Chi difende i più
piccoli e il loro diritto alla terra e a una vita dignitosa si mette contro gli interessi
di élite potenti e rischia la vita. La riforma agraria, di cui il Partito dei Lavoratori
di Lula e ora di Dilma era un portabandiera, è rimasta in un angolo, travolta dalla
priorità rappresentata dall’agro-business. Il Brasile – concludono con amarezza le
fonti – resta un Paese a due velocità”. (R.P.)