2013-07-04 19:22:44

Egitto: Mansour è il nuovo presidente ad interim. Arrestati esponenti dei Fratelli Musulmani; scontri al Cairo


Il giudice Adly Mansour è il nuovo presidente ad interim dell'Egitto dopo la destituzione di Morsi, ancora agli arresti con alcuni suoi collaboratori, accusati di incitamento alla violenza. “Attendo le elezioni secondo il volere del popolo” ha detto Mansour che ha aperto anche alla Fratellanza. Ma tra i festeggiamenti, al Cairo e in altre città, resta alta la tensione: 15 i morti dopo il golpe militare. La comunità internazionale esprime preoccupazione e invita al rispetto della democrazia. Cecilia Seppia:RealAudioMP3

Dopo il colpo di stato, l’Egitto prova a voltare pagina. Alla guida del Paese, come presidente ad interim ora c’è Adly Mansour che ha inaugurato il suo mandato, dicendosi a favore della riconciliazione. "Anche i Fratelli Musulmani ha detto – Mansour- sono parte integrante di questa nazione, pertanto è necessario costruire insieme il futuro". A stretto giro la replica del movimento che invece si rifiuta di avere contatti con quello che definisce un “regime usurpatore” e attacca via Twitter le pratiche oppressive usate dallo Stato e dalla polizia, quindi convoca per domani un’altra manifestazione contro il golpe. Sospesa la Costituzione dunque e arrestati numerosi esponenti politici e religiosi della Fratellanza, compresa la guida Suprema, Mohammed Badie, nel Paese la tensione non si allenta e proprio in queste ore si segnalano nuovi scontri presso l’Università del Cairo, con l’esercito che resta schierato per le strade. Da più parti sono giunti appelli alla calma e al rispetto della democrazia. Così il ministro degli esteri britannico Hague, la Cancelliera tedesca Merkel, il capo dell’Eliseo Hollande che ammonisce: la situazione in Egitto è un’ammissione di fallimento. Ad auspicare una transizione senza violenze e senza spargimenti di sangue pure il premier italiano Letta. Forte la preoccupazione espressa dall’Ue e dalla Nato. Critiche invece le posizioni di Brasile e Turchia secondo cui la destituzione di Morsi è inaccettabile.

“E’ meraviglioso vedere il popolo egiziano che si riprende in maniera pacifica la rivoluzione che gli è stata rubata”: lo ha scritto ieri su Twitter il Papa copto ortodosso Tawadros II. Al microfono di Benedetta Capelli, padre Hani Bakhoum del Patriarcato copto cattolico del Cairo:RealAudioMP3

R. – La nostra posizione possiamo dire che è basata su due punti. Noi siamo una parte del popolo e vediamo che tutto il popolo egiziano - in 33 milioni sono scesi in piazza – ha espresso con tanta forza il suo desiderio. Non possiamo definire quello che è stato compiuto ieri come un colpo militare. Assolutamente, assolutamente… I militari hanno soltanto dato ascolto a un desiderio di tutto il popolo. Noi non abbiamo una posizione con o contro: assolutamente no! Perché non è il nostro ruolo, il nostro ruolo non è politico. Però noi vediamo che c’è una voglia e un desiderio generale in tutto il Paese. La seconda posizione: possiamo dire che con questa manifestazione contro il presidente, oggi il governo è passato ad un gruppo di civili. Non sono i militari che stanno portando avanti la situazione. Noi sosteniamo questa collaborazione, visto che l’ex regime ha fatto veramente tantissimi danni a livello economico, a livello anche morale, a livello anche di costruzione del Paese. E’ vero che Morsi è stato eletto democraticamente – con il 51 per cento – però la democrazia ha bisogno di essere mantenuta.

D. – Ci sono comunque dei timori da parte della Chiesa cattolica copta?

R. – Il cambiamento porta anche delle sofferenze, delle difficoltà e dell’incertezza. Già ieri, hanno bruciato una nostra residenza vicino ad una chiesa e anche oggi abbiamo sentito di tanti atti compiuti contro di noi. Tutto lo scorso anno ci sono stati atti di violenza e vari attentati anche davanti alla cattedrale copta ortodossa. Fino ad oggi, non sappiamo ancora chi siano i colpevoli. Allora certo che abbiamo le nostre preoccupazioni, però abbiamo fiducia veramente nel Signore, abbiamo speranza. Noi portiamo l’insegnamento della Chiesa, l’importanza dei valori cristiani, l’importanza dei valori umani ed abbiamo purtroppo notato che l’anno scorso questi valori sono stati quasi del tutto annullati. Hanno anche cambiato i nostri programmi di studio nelle scuole; hanno cancellato la storia dell’Egitto: volevano soltanto mettere la storia del loro gruppo. Noi non abbiamo detto niente al nostro popolo e sempre abbiamo difeso i valori. Il ministro della Difesa ha reso partecipe – come avete visto anche ieri – il Papa Tawadros: noi siamo sempre in comunione con lui. Questo vuol dire che il ministero della Difesa non ha voluto fare una cosa unilaterale: ha reso partecipe tutti, tutte le correnti politiche, anche quelle che erano con il presidente; anche la Chiesa e anche Al Azhar, che rappresenta tra l’altro l’Islam in Egitto.

D. – Quali sono i segni di speranza che ha visto in questa nuova manifestazione rispetto, invece, alla “primavera araba” di alcuni anni fa?

R. – Non possiamo dire che quello che abbiamo vissuto fino ad oggi sia stata la “primavera araba”. Possiamo dire che è l’“autunno”: è l’autunno di un sistema che è ormai un sistema vecchio, che è il sistema dell’ex regime che sta crollando, che sta tramontando… Ma l’autunno è il tempo anche per seminare: oggi è il tempo per seminare! Prima di tutto la nostra speranza è basata nel Signore. E’ il Signore che ci porta avanti, anche nelle difficoltà, anche nelle persecuzioni, anche nelle tribolazioni. Ci sono poi anche altri segni di speranza umana: vediamo il nostro popolo così grandioso, pieno di onore, che non ha accettato che venisse cancellato tutto il suo passato, tutta la sua civiltà. E ha manifestato in maniera molto democratica. Anche i nostri giovani, che sono pieni di speranza, vogliono lavorare, vogliono collaborare insieme, cristiani e musulmani. Questa manifestazione, alla quale abbiamo assistito in questi due giorni, ha fatto tornare l’Egitto veramente all’Egitto di un tempo, un tempo di comunione, di pace fra cristiani e musulmani. Abbiamo visto la donna con il burqa, con il velo insieme alla suora; abbiamo visto i giovani musulmani con i giovani cristiani uniti. Ecco, questi sono i nostri segni di speranza!

Di segno diverso la posizione di Massimo Campanini, docente dell’Islam contemporaneo presso l’Università di Trento. L’intervista è di Benedetta Capelli:RealAudioMP3

R. - Si tratta di una brutta pagina che è stata scritta in Egitto. Nonostante l’opposizione a Morsi abbia sostenuto che l’intervento militare interpreta la volontà del popolo, io penso che la defenestrazione del presidente da parte dell’esercito sia un golpe perché Morsi era stato democraticamente eletto. Può non piacerci, ma queste sono le regole della democrazia. Quindi un intervento militare che ha abbattuto un sistema politico democraticamente eletto non può mai secondo me essere considerato positivamente. Io penso che i militari difficilmente possano vantare delle credenziali di democrazia: il loro intervento – sia pure ispirato dalla volontà popolare - rimane un intervento di imperio e di autorità che suscita preoccupazioni.

R. – Anche perché forse i Fratelli Musulmani non resteranno a guardare…

D. - Il rischio che i Fratelli Musulmani non restino a guardare indubbiamente c’è, però io credo che non arrischieranno una guerra civile. Se al loro posto ci fossero stati i salafiti è molto probabile che uno scontro diretto, uno scontro violento sarebbe stato nella forza delle cose, anche perché i Fratelli Musulmani non sono affatto un fronte compatto ed unito. Ci sono sempre state all’interno anche della loro dirigenza delle forze di lacerazione, delle forze di opposizione, delle tendenze centrifughe. Per cui non so se i Fratelli Musulmani effettivamente avranno la capacità e l’energia di poter veramente scendere in piazza per sfidare con la violenza quello che evidentemente è stato il pronunciamento militare. Questo farebbe cadere l’Egitto in una situazione di caos e confusione e avrebbe molta difficoltà a tirarsene fuori. Certo una possibilità di uno scontro diretto tra diverse anime del popolo egiziano esiste. Personalmente sono convinto che non succederà, spero di non essere smentito.

D. – Cosa ne pensa invece di questa “road map” annunciata, è veramente possibile? Un percorso di riconciliazione: l’ha chiamata Mohamed el Baradei portavoce delle opposizioni egiziane…

R. – Una “road map” in cui i militari decidono di abbandonare il potere è, in linea del tutto teorica, possibile. Io però ritengo che i militari vorranno sorvegliare e supervisionare il processo transitorio, il processo evolutivo. Quanto questo garantisca una necessità ed una possibilità di autentica trasformazione democratica credo che ce lo diranno gli avvenimenti nelle prossime settimane e nei prossimi mesi. Io per quanto riguarda l’intervento dell’esercito rimango sempre dubbioso. Spero anche in questo caso di poter essere smentito.

Sulle reazioni internazionali ed in particolare sui timori espressi dagli Stati Uniti e l’Europa riguardo al nuovo corso in Egitto, Luca Collodi ha intervistato Renzo Guolo, docente di Sociologia dell'Islam all'Università di Padova:RealAudioMP3

R. – Sicuramente gli Stati Uniti - è noto – hanno un rapporto storico, da decenni, con l’esercito. Gli aiuti che forniscono ogni anno sono fondamentali per la forza dei militari egiziani e, in qualche modo, sono loro i veri garanti dei trattati internazionali, soprattutto quello di Camp David, che garantisce la “pace fredda” con Israele. E’ evidente, quindi, che le forze armate hanno avuto un’interlocuzione continua con la Casa Bianca. A mio avviso, gli Stati Uniti avrebbero preferito uno sbocco diverso. Abbiamo avuto, infatti, questo paradosso, per cui gli islamisti difendevano la Costituzione ed i processi democratici mentre la piazza e i militari e hanno preso atto invece che la protesta valeva più del voto. Ovviamente la responsabilità dei Fratelli Musulmani è quella di non aver capito che il processo di transizione andava guidato con una mano diversa negli ultimi mesi. Quanto al discorso dell’Europa, come sempre guarda pochissimo a quanto accade a Sud del Mediterraneo. E’ un gravissimo errore, anche perché quello che avviene si trova alle porte di casa ed ha un evidente effetto domino. Non si pensi che quanto sia accaduto oggi non abbia ripercussioni poi in Tunisia, in Libia o in Siria. E’ evidente, quindi, che l’Europa dovrebbe darsi una politica mediterranea molto più incisiva, molto più capace di premere sui governi, quando si tratta appunto di indirizzare un processo politico, ovviamente nel rispetto delle sovranità nazionali.

D. – I Fratelli Musulmani hanno cercato di portare al governo anche l’elemento religioso. Questo è il fallimento del potere coniugato al sistema religioso?

R. – E’ il fallimento dell’idea che bastasse dire “l’islam è la soluzione”. Il governo di una società complessa come quella egiziana prevede una serie di competenze, di conoscenze, di saperi e anche una minore rigidità ideologica. Il grande errore dei Fratelli Musulmani è stato avvallare lo strappo sulla Costituzione, di fronte alle obiezioni delle forze laiche, dei cristiani copti, di tutti quelli che in qualche modo paventavano il pericolo di una Costituzione trascinata su un treno fortemente islamizzato. La Costituzione è il terreno su cui giocano tutti: sia quelli che sono in maggioranza che quelli che sono in minoranza. Lì è stato il grande errore, oltre alle competenze tecniche: dire che l’islam è la soluzione non basta. E’ evidente che questo fallimento paradossalmente diventa molto rischioso, anche perché dà la “stura” a tutte quelle forze di matrice salafita radicale, che appunto avevano contestato ai Fratelli Musulmani la loro capacità di governare all’interno di un sistema che manteneva elementi di pluralismo; e il fatto che non si fosse instaurato con la forza uno stato islamico, anzi che si paventasse l’idea di uno Stato ispirato religiosamente. E’ evidente che è un banco di prova enorme, che avrà conseguenze anche sulla divaricazione dell’area islamista, con forti contraccolpi nei prossimi mesi.







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