Egitto: Mansour è il nuovo presidente ad interim. Arrestati esponenti dei Fratelli
Musulmani; scontri al Cairo
Il giudice Adly Mansour è il nuovo presidente ad interim dell'Egitto dopo la destituzione
di Morsi, ancora agli arresti con alcuni suoi collaboratori, accusati di incitamento
alla violenza. “Attendo le elezioni secondo il volere del popolo” ha detto Mansour
che ha aperto anche alla Fratellanza. Ma tra i festeggiamenti, al Cairo e in altre
città, resta alta la tensione: 15 i morti dopo il golpe militare. La comunità internazionale
esprime preoccupazione e invita al rispetto della democrazia. Cecilia Seppia:
Dopo il
colpo di stato, l’Egitto prova a voltare pagina. Alla guida del Paese, come presidente
ad interim ora c’è Adly Mansour che ha inaugurato il suo mandato, dicendosi a favore
della riconciliazione. "Anche i Fratelli Musulmani ha detto – Mansour- sono parte
integrante di questa nazione, pertanto è necessario costruire insieme il futuro".
A stretto giro la replica del movimento che invece si rifiuta di avere contatti con
quello che definisce un “regime usurpatore” e attacca via Twitter le pratiche oppressive
usate dallo Stato e dalla polizia, quindi convoca per domani un’altra manifestazione
contro il golpe. Sospesa la Costituzione dunque e arrestati numerosi esponenti politici
e religiosi della Fratellanza, compresa la guida Suprema, Mohammed Badie, nel Paese
la tensione non si allenta e proprio in queste ore si segnalano nuovi scontri presso
l’Università del Cairo, con l’esercito che resta schierato per le strade. Da più parti
sono giunti appelli alla calma e al rispetto della democrazia. Così il ministro degli
esteri britannico Hague, la Cancelliera tedesca Merkel, il capo dell’Eliseo Hollande
che ammonisce: la situazione in Egitto è un’ammissione di fallimento. Ad auspicare
una transizione senza violenze e senza spargimenti di sangue pure il premier italiano
Letta. Forte la preoccupazione espressa dall’Ue e dalla Nato. Critiche invece le posizioni
di Brasile e Turchia secondo cui la destituzione di Morsi è inaccettabile.
“E’
meraviglioso vedere il popolo egiziano che si riprende in maniera pacifica la rivoluzione
che gli è stata rubata”: lo ha scritto ieri su Twitter il Papa copto ortodosso Tawadros
II. Al microfono di Benedetta Capelli, padre Hani Bakhoum del Patriarcato
copto cattolico del Cairo:
R. – La nostra
posizione possiamo dire che è basata su due punti. Noi siamo una parte del popolo
e vediamo che tutto il popolo egiziano - in 33 milioni sono scesi in piazza – ha espresso
con tanta forza il suo desiderio. Non possiamo definire quello che è stato compiuto
ieri come un colpo militare. Assolutamente, assolutamente… I militari hanno soltanto
dato ascolto a un desiderio di tutto il popolo. Noi non abbiamo una posizione con
o contro: assolutamente no! Perché non è il nostro ruolo, il nostro ruolo non è politico.
Però noi vediamo che c’è una voglia e un desiderio generale in tutto il Paese. La
seconda posizione: possiamo dire che con questa manifestazione contro il presidente,
oggi il governo è passato ad un gruppo di civili. Non sono i militari che stanno portando
avanti la situazione. Noi sosteniamo questa collaborazione, visto che l’ex regime
ha fatto veramente tantissimi danni a livello economico, a livello anche morale, a
livello anche di costruzione del Paese. E’ vero che Morsi è stato eletto democraticamente
– con il 51 per cento – però la democrazia ha bisogno di essere mantenuta.
D.
– Ci sono comunque dei timori da parte della Chiesa cattolica copta?
R. – Il
cambiamento porta anche delle sofferenze, delle difficoltà e dell’incertezza. Già
ieri, hanno bruciato una nostra residenza vicino ad una chiesa e anche oggi abbiamo
sentito di tanti atti compiuti contro di noi. Tutto lo scorso anno ci sono stati atti
di violenza e vari attentati anche davanti alla cattedrale copta ortodossa. Fino ad
oggi, non sappiamo ancora chi siano i colpevoli. Allora certo che abbiamo le nostre
preoccupazioni, però abbiamo fiducia veramente nel Signore, abbiamo speranza. Noi
portiamo l’insegnamento della Chiesa, l’importanza dei valori cristiani, l’importanza
dei valori umani ed abbiamo purtroppo notato che l’anno scorso questi valori sono
stati quasi del tutto annullati. Hanno anche cambiato i nostri programmi di studio
nelle scuole; hanno cancellato la storia dell’Egitto: volevano soltanto mettere la
storia del loro gruppo. Noi non abbiamo detto niente al nostro popolo e sempre abbiamo
difeso i valori. Il ministro della Difesa ha reso partecipe – come avete visto anche
ieri – il Papa Tawadros: noi siamo sempre in comunione con lui. Questo vuol dire che
il ministero della Difesa non ha voluto fare una cosa unilaterale: ha reso partecipe
tutti, tutte le correnti politiche, anche quelle che erano con il presidente; anche
la Chiesa e anche Al Azhar, che rappresenta tra l’altro l’Islam in Egitto.
D.
– Quali sono i segni di speranza che ha visto in questa nuova manifestazione rispetto,
invece, alla “primavera araba” di alcuni anni fa?
R. – Non possiamo dire che
quello che abbiamo vissuto fino ad oggi sia stata la “primavera araba”. Possiamo dire
che è l’“autunno”: è l’autunno di un sistema che è ormai un sistema vecchio, che è
il sistema dell’ex regime che sta crollando, che sta tramontando… Ma l’autunno è il
tempo anche per seminare: oggi è il tempo per seminare! Prima di tutto la nostra speranza
è basata nel Signore. E’ il Signore che ci porta avanti, anche nelle difficoltà, anche
nelle persecuzioni, anche nelle tribolazioni. Ci sono poi anche altri segni di speranza
umana: vediamo il nostro popolo così grandioso, pieno di onore, che non ha accettato
che venisse cancellato tutto il suo passato, tutta la sua civiltà. E ha manifestato
in maniera molto democratica. Anche i nostri giovani, che sono pieni di speranza,
vogliono lavorare, vogliono collaborare insieme, cristiani e musulmani. Questa manifestazione,
alla quale abbiamo assistito in questi due giorni, ha fatto tornare l’Egitto veramente
all’Egitto di un tempo, un tempo di comunione, di pace fra cristiani e musulmani.
Abbiamo visto la donna con il burqa, con il velo insieme alla suora; abbiamo visto
i giovani musulmani con i giovani cristiani uniti. Ecco, questi sono i nostri segni
di speranza!
Di segno diverso la posizione di Massimo Campanini, docente
dell’Islam contemporaneo presso l’Università di Trento. L’intervista è di Benedetta
Capelli:
R. - Si tratta
di una brutta pagina che è stata scritta in Egitto. Nonostante l’opposizione a Morsi
abbia sostenuto che l’intervento militare interpreta la volontà del popolo, io penso
che la defenestrazione del presidente da parte dell’esercito sia un golpe perché Morsi
era stato democraticamente eletto. Può non piacerci, ma queste sono le regole della
democrazia. Quindi un intervento militare che ha abbattuto un sistema politico democraticamente
eletto non può mai secondo me essere considerato positivamente. Io penso che i militari
difficilmente possano vantare delle credenziali di democrazia: il loro intervento
– sia pure ispirato dalla volontà popolare - rimane un intervento di imperio e di
autorità che suscita preoccupazioni.
R. – Anche perché forse i Fratelli Musulmani
non resteranno a guardare…
D. - Il rischio che i Fratelli Musulmani non restino
a guardare indubbiamente c’è, però io credo che non arrischieranno una guerra civile.
Se al loro posto ci fossero stati i salafiti è molto probabile che uno scontro diretto,
uno scontro violento sarebbe stato nella forza delle cose, anche perché i Fratelli
Musulmani non sono affatto un fronte compatto ed unito. Ci sono sempre state all’interno
anche della loro dirigenza delle forze di lacerazione, delle forze di opposizione,
delle tendenze centrifughe. Per cui non so se i Fratelli Musulmani effettivamente
avranno la capacità e l’energia di poter veramente scendere in piazza per sfidare
con la violenza quello che evidentemente è stato il pronunciamento militare. Questo
farebbe cadere l’Egitto in una situazione di caos e confusione e avrebbe molta difficoltà
a tirarsene fuori. Certo una possibilità di uno scontro diretto tra diverse anime
del popolo egiziano esiste. Personalmente sono convinto che non succederà, spero di
non essere smentito.
D. – Cosa ne pensa invece di questa “road map” annunciata,
è veramente possibile? Un percorso di riconciliazione: l’ha chiamata Mohamed el Baradei
portavoce delle opposizioni egiziane…
R. – Una “road map” in cui i militari
decidono di abbandonare il potere è, in linea del tutto teorica, possibile. Io però
ritengo che i militari vorranno sorvegliare e supervisionare il processo transitorio,
il processo evolutivo. Quanto questo garantisca una necessità ed una possibilità di
autentica trasformazione democratica credo che ce lo diranno gli avvenimenti nelle
prossime settimane e nei prossimi mesi. Io per quanto riguarda l’intervento dell’esercito
rimango sempre dubbioso. Spero anche in questo caso di poter essere smentito.
Sulle
reazioni internazionali ed in particolare sui timori espressi dagli Stati Uniti e
l’Europa riguardo al nuovo corso in Egitto, Luca Collodi ha intervistato Renzo
Guolo, docente di Sociologia dell'Islam all'Università di Padova:
R. – Sicuramente
gli Stati Uniti - è noto – hanno un rapporto storico, da decenni, con l’esercito.
Gli aiuti che forniscono ogni anno sono fondamentali per la forza dei militari egiziani
e, in qualche modo, sono loro i veri garanti dei trattati internazionali, soprattutto
quello di Camp David, che garantisce la “pace fredda” con Israele. E’ evidente, quindi,
che le forze armate hanno avuto un’interlocuzione continua con la Casa Bianca. A mio
avviso, gli Stati Uniti avrebbero preferito uno sbocco diverso. Abbiamo avuto, infatti,
questo paradosso, per cui gli islamisti difendevano la Costituzione ed i processi
democratici mentre la piazza e i militari e hanno preso atto invece che la protesta
valeva più del voto. Ovviamente la responsabilità dei Fratelli Musulmani è quella
di non aver capito che il processo di transizione andava guidato con una mano diversa
negli ultimi mesi. Quanto al discorso dell’Europa, come sempre guarda pochissimo a
quanto accade a Sud del Mediterraneo. E’ un gravissimo errore, anche perché quello
che avviene si trova alle porte di casa ed ha un evidente effetto domino. Non si pensi
che quanto sia accaduto oggi non abbia ripercussioni poi in Tunisia, in Libia o in
Siria. E’ evidente, quindi, che l’Europa dovrebbe darsi una politica mediterranea
molto più incisiva, molto più capace di premere sui governi, quando si tratta appunto
di indirizzare un processo politico, ovviamente nel rispetto delle sovranità nazionali.
D.
– I Fratelli Musulmani hanno cercato di portare al governo anche l’elemento religioso.
Questo è il fallimento del potere coniugato al sistema religioso?
R. – E’ il
fallimento dell’idea che bastasse dire “l’islam è la soluzione”. Il governo di una
società complessa come quella egiziana prevede una serie di competenze, di conoscenze,
di saperi e anche una minore rigidità ideologica. Il grande errore dei Fratelli Musulmani
è stato avvallare lo strappo sulla Costituzione, di fronte alle obiezioni delle forze
laiche, dei cristiani copti, di tutti quelli che in qualche modo paventavano il pericolo
di una Costituzione trascinata su un treno fortemente islamizzato. La Costituzione
è il terreno su cui giocano tutti: sia quelli che sono in maggioranza che quelli che
sono in minoranza. Lì è stato il grande errore, oltre alle competenze tecniche: dire
che l’islam è la soluzione non basta. E’ evidente che questo fallimento paradossalmente
diventa molto rischioso, anche perché dà la “stura” a tutte quelle forze di matrice
salafita radicale, che appunto avevano contestato ai Fratelli Musulmani la loro capacità
di governare all’interno di un sistema che manteneva elementi di pluralismo; e il
fatto che non si fosse instaurato con la forza uno stato islamico, anzi che si paventasse
l’idea di uno Stato ispirato religiosamente. E’ evidente che è un banco di prova enorme,
che avrà conseguenze anche sulla divaricazione dell’area islamista, con forti contraccolpi
nei prossimi mesi.