Egitto, il giudice Mansour nuovo presidente ad interim: caute le reazioni internazionali
Una nuova pagina della storia egiziana è stata scritta ieri dopo la scadenza dell’ultimatum
lanciato dalle forze armate al presidente Morsi, che sarebbe in stato di arresto.
Da stamani il Paese ha un nuovo capo dello Stato ad interim: si tratta del giudice
Adly Mansour, presidente della Corte costituzionale egiziana. Benedetta Capelli:
Un Paese “moderno,
costituzionale, nazionale e civile”: in queste poche parole il neo presidente Mansour
ha disegnato il nuovo Egitto. Dopo il giuramento, salutato dal volo di 14 jet che
hanno colorato il cielo del Cairo con il rosso, il bianco ed il nero della bandiera
egiziana, Mansour ha lanciato un messaggio ai Fratelli Musulmani, “parte della nazione”,
invitandoli a costruire insieme il nuovo Paese. Un messaggio seguito però dall’arresto
della guida spirituale della Fratellanza e del suo vice, secondo la stampa locale
sarebbero 300 gli ordini di arresto spiccati nei confronti di altrettanti membri del
partito. Su Morsi intanto è giallo. Sarebbe tenuto in isolamento all'interno del ministero
della Difesa mentre ieri i suoi più stretti collaboratori erano stati trasferiti nel
carcere di Torah Mahkoum, dove è rinchiuso l'ex presidente Mubarak ed i suoi figli.
Ieri sera nonostante le violenze – 14 le vittime accertate – la piazza ha gioito con
fuochi d’artificio, canti e balli l’annuncio della destituzione di Morsi. Molte le
reazioni internazionali in maggioranza all’insegna della prudenza. L’Unione Europea
ha invitato a perseguire un percorso democratico con un ritorno alle urne. L’Onu si
è detta preoccupata per l’interferenza dei militari, gli Stati Uniti hanno espresso
timori per il futuro, la Russia ha invitato alla moderazione. Per la Turchia la deposizione
di Morsi è inaccettabile, la Siria parla di “grande risultato” riferendosi alla caduta
del presidente. La Gran Bretagna invece è pronta a riconoscere la nuova amministrazione
in Egitto e a collaborare.
“E’ meraviglioso vedere il popolo egiziano che si
riprende in maniera pacifica la rivoluzione che gli è stata rubata”: lo ha scritto
ieri su Twitter il Papa copto ortodosso Tawadros II. Al microfono di Benedetta
Capelli, padre Hani Bakhoum del Patriarcato copto cattolico del Cairo:
R. – La nostra
posizione possiamo dire che è basata su due punti. Noi siamo una parte del popolo
e vediamo che tutto il popolo egiziano - in 33 milioni sono scesi in piazza – ha espresso
con tanta forza il suo desiderio. Non possiamo definire quello che è stato compiuto
ieri come un colpo militare. Assolutamente, assolutamente… I militari hanno soltanto
dato ascolto a un desiderio di tutto il popolo. Noi non abbiamo una posizione con
o contro: assolutamente no! Perché non è il nostro ruolo, il nostro ruolo non è politico.
Però noi vediamo che c’è una voglia e un desiderio generale in tutto il Paese. La
seconda posizione: possiamo dire che con questa manifestazione contro il presidente,
oggi il governo è passato ad un gruppo di civili. Non sono i militari che stanno portando
avanti la situazione. Noi sosteniamo questa collaborazione, visto che l’ex regime
ha fatto veramente tantissimi danni a livello economico, a livello anche morale, a
livello anche di costruzione del Paese. E’ vero che Morsi è stato eletto democraticamente
– con il 51 per cento – però la democrazia ha bisogno di essere mantenuta.
D.
– Ci sono comunque dei timori da parte della Chiesa cattolica copta?
R. – Il
cambiamento porta anche delle sofferenze, delle difficoltà e dell’incertezza. Già
ieri, hanno bruciato una nostra residenza vicino ad una chiesa e anche oggi abbiamo
sentito di tanti atti compiuti contro di noi. Tutto lo scorso anno ci sono stati atti
di violenza e vari attentati anche davanti alla cattedrale copta ortodossa. Fino ad
oggi, non sappiamo ancora chi siano i colpevoli. Allora certo che abbiamo le nostre
preoccupazioni, però abbiamo fiducia veramente nel Signore, abbiamo speranza. Noi
portiamo l’insegnamento della Chiesa, l’importanza dei valori cristiani, l’importanza
dei valori umani ed abbiamo purtroppo notato che l’anno scorso questi valori sono
stati quasi del tutto annullati. Hanno anche cambiato i nostri programmi di studio
nelle scuole; hanno cancellato la storia dell’Egitto: volevano soltanto mettere la
storia del loro gruppo. Noi non abbiamo detto niente al nostro popolo e sempre abbiamo
difeso i valori. Il ministro della Difesa ha reso partecipe – come avete visto anche
ieri – il Papa Tawadros: noi siamo sempre in comunione con lui. Questo vuol dire che
il ministero della Difesa non ha voluto fare una cosa unilaterale: ha reso partecipe
tutti, tutte le correnti politiche, anche quelle che erano con il presidente; anche
la Chiesa e anche Al Azhar, che rappresenta tra l’altro l’Islam in Egitto.
D.
– Quali sono i segni di speranza che ha visto in questa nuova manifestazione rispetto,
invece, alla “primavera araba” di alcuni anni fa?
R. – Non possiamo dire che
quello che abbiamo vissuto fino ad oggi sia stata la “primavera araba”. Possiamo dire
che è l’“autunno”: è l’autunno di un sistema che è ormai un sistema vecchio, che è
il sistema dell’ex regime che sta crollando, che sta tramontando… Ma l’autunno è il
tempo anche per seminare: oggi è il tempo per seminare! Prima di tutto la nostra speranza
è basata nel Signore. E’ il Signore che ci porta avanti, anche nelle difficoltà, anche
nelle persecuzioni, anche nelle tribolazioni. Ci sono poi anche altri segni di speranza
umana: vediamo il nostro popolo così grandioso, pieno di onore, che non ha accettato
che venisse cancellato tutto il suo passato, tutta la sua civiltà. E ha manifestato
in maniera molto democratica. Anche i nostri giovani, che sono pieni di speranza,
vogliono lavorare, vogliono collaborare insieme, cristiani e musulmani. Questa manifestazione,
alla quale abbiamo assistito in questi due giorni, ha fatto tornare l’Egitto veramente
all’Egitto di un tempo, un tempo di comunione, di pace fra cristiani e musulmani.
Abbiamo visto la donna con il burqa, con il velo insieme alla suora; abbiamo visto
i giovani musulmani con i giovani cristiani uniti. Ecco, questi sono i nostri segni
di speranza!
Di segno diverso la posizione di Massimo Campanini, docente
dell’Islam contemporaneo presso l’Università di Trento. L’intervista è di Benedetta
Capelli:
R. - Si tratta
di una brutta pagina che è stata scritta in Egitto. Nonostante l’opposizione a Morsi
abbia sostenuto che l’intervento militare interpreta la volontà del popolo, io penso
che la defenestrazione del presidente da parte dell’esercito sia un golpe perché Morsi
era stato democraticamente eletto. Può non piacerci, ma queste sono le regole della
democrazia. Quindi un intervento militare che ha abbattuto un sistema politico democraticamente
eletto non può mai secondo me essere considerato positivamente. Io penso che i militari
difficilmente possano vantare delle credenziali di democrazia: il loro intervento
– sia pure ispirato dalla volontà popolare - rimane un intervento di imperio e di
autorità che suscita preoccupazioni.
R. – Anche perché forse i Fratelli Musulmani
non resteranno a guardare…
D. - Il rischio che i Fratelli Musulmani non restino
a guardare indubbiamente c’è, però io credo che non arrischieranno una guerra civile.
Se al loro posto ci fossero stati i salafiti è molto probabile che uno scontro diretto,
uno scontro violento sarebbe stato nella forza delle cose, anche perché i Fratelli
Musulmani non sono affatto un fronte compatto ed unito. Ci sono sempre state all’interno
anche della loro dirigenza delle forze di lacerazione, delle forze di opposizione,
delle tendenze centrifughe. Per cui non so se i Fratelli Musulmani effettivamente
avranno la capacità e l’energia di poter veramente scendere in piazza per sfidare
con la violenza quello che evidentemente è stato il pronunciamento militare. Questo
farebbe cadere l’Egitto in una situazione di caos e confusione e avrebbe molta difficoltà
a tirarsene fuori. Certo una possibilità di uno scontro diretto tra diverse anime
del popolo egiziano esiste. Personalmente sono convinto che non succederà, spero di
non essere smentito.
D. – Cosa ne pensa invece di questa “road map” annunciata,
è veramente possibile? Un percorso di riconciliazione: l’ha chiamata Mohamed el Baradei
portavoce delle opposizioni egiziane…
R. – Una “road map” in cui i militari
decidono di abbandonare il potere è, in linea del tutto teorica, possibile. Io però
ritengo che i militari vorranno sorvegliare e supervisionare il processo transitorio,
il processo evolutivo. Quanto questo garantisca una necessità ed una possibilità di
autentica trasformazione democratica credo che ce lo diranno gli avvenimenti nelle
prossime settimane e nei prossimi mesi. Io per quanto riguarda l’intervento dell’esercito
rimango sempre dubbioso. Spero anche in questo caso di poter essere smentito.
Sulle
reazioni internazionali ed in particolare sui timori espressi dagli Stati Uniti e
l’Europa riguardo al nuovo corso in Egitto, Luca Collodi ha intervistato Renzo
Guolo, docente di Sociologia dell'Islam all'Università di Padova:
R. – Sicuramente
gli Stati Uniti - è noto – hanno un rapporto storico, da decenni, con l’esercito.
Gli aiuti che forniscono ogni anno sono fondamentali per la forza dei militari egiziani
e, in qualche modo, sono loro i veri garanti dei trattati internazionali, soprattutto
quello di Camp David, che garantisce la “pace fredda” con Israele. E’ evidente, quindi,
che le forze armate hanno avuto un’interlocuzione continua con la Casa Bianca. A mio
avviso, gli Stati Uniti avrebbero preferito uno sbocco diverso. Abbiamo avuto, infatti,
questo paradosso, per cui gli islamisti difendevano la Costituzione ed i processi
democratici mentre la piazza e i militari e hanno preso atto invece che la protesta
valeva più del voto. Ovviamente la responsabilità dei Fratelli Musulmani è quella
di non aver capito che il processo di transizione andava guidato con una mano diversa
negli ultimi mesi. Quanto al discorso dell’Europa, come sempre guarda pochissimo a
quanto accade a Sud del Mediterraneo. E’ un gravissimo errore, anche perché quello
che avviene si trova alle porte di casa ed ha un evidente effetto domino. Non si pensi
che quanto sia accaduto oggi non abbia ripercussioni poi in Tunisia, in Libia o in
Siria. E’ evidente, quindi, che l’Europa dovrebbe darsi una politica mediterranea
molto più incisiva, molto più capace di premere sui governi, quando si tratta appunto
di indirizzare un processo politico, ovviamente nel rispetto delle sovranità nazionali.
D.
– I Fratelli Musulmani hanno cercato di portare al governo anche l’elemento religioso.
Questo è il fallimento del potere coniugato al sistema religioso?
R. – E’ il
fallimento dell’idea che bastasse dire “l’islam è la soluzione”. Il governo di una
società complessa come quella egiziana prevede una serie di competenze, di conoscenze,
di saperi e anche una minore rigidità ideologica. Il grande errore dei Fratelli Musulmani
è stato avvallare lo strappo sulla Costituzione, di fronte alle obiezioni delle forze
laiche, dei cristiani copti, di tutti quelli che in qualche modo paventavano il pericolo
di una Costituzione trascinata su un treno fortemente islamizzato. La Costituzione
è il terreno su cui giocano tutti: sia quelli che sono in maggioranza che quelli che
sono in minoranza. Lì è stato il grande errore, oltre alle competenze tecniche: dire
che l’islam è la soluzione non basta. E’ evidente che questo fallimento paradossalmente
diventa molto rischioso, anche perché dà la “stura” a tutte quelle forze di matrice
salafita radicale, che appunto avevano contestato ai Fratelli Musulmani la loro capacità
di governare all’interno di un sistema che manteneva elementi di pluralismo; e il
fatto che non si fosse instaurato con la forza uno stato islamico, anzi che si paventasse
l’idea di uno Stato ispirato religiosamente. E’ evidente che è un banco di prova enorme,
che avrà conseguenze anche sulla divaricazione dell’area islamista, con forti contraccolpi
nei prossimi mesi.