2013-07-03 16:56:59

Ue bilanci: ok a maggiore flessibilità per i Paesi virtuosi. Esulta il governo Letta


I Paesi con i conti pubblici in ordine potranno sforare il tetto al deficit per finanziare investimenti che rilancino la crescita, ad iniziare dall’Italia. Lo ha deciso la Commissione europea. Ieri pomeriggio il commissario agli Affari economici Olli Rehn specifica: la flessibilità concessa dalla Ue non può in alcun modo ''rompere il 3% di deficit'' e derogare dalla ''regola del debito'' scritta nel 'fiscal compact' che impone di ridurlo di un ventesimo all'anno. Entusiasmo alla notizia data dalla Commissione europea da parte del governo Letta che parla di ”un premio al lavoro fatto”. Plaudono anche Confindustria e sindacati che rilanciano ora il patto sul fisco, mentre il Pdl con Brunetta critica passi definiti “troppo timidi”. Come leggere dunque la decisione e con quali prospettive? Gabriella Ceraso lo ha chiesto a Carlo Altomonte docente di Politica economica europea alla Bocconi di Milano:RealAudioMP3

R. – Da un punto di vista tecnico è una cosa buona, perché consente di usare dei margini di flessibilità, di utilizzare dei fondi per spese di tipo strutturale: per infrastrutture o programmi di sostegno e formazione al lavoro. Fa parte, quindi, sostanzialmente di una strategia di sostegno all’occupazione recentemente varata dal Governo e poi, in qualche modo, certificata anche dal Consiglio europeo, che ha confermato l’uso dei fondi per il prossimo anno e non solo per questo. Il tranello, se vogliamo, è quello politico, nel senso che si dà l’impressione che ci sia adesso un modo di spendere di più, senza i tagli alla spesa, che invece continuano ad essere assolutamente necessari. E’ fondamentale che la proposta di Saccomanni - di portare avanti la spending review e ridurre in maniera strutturale le voci di spesa del Paese - continui ad avere supporto politico. E’ evidente, infatti, che se noi dovessimo sforare il 3 per cento l’anno prossimo, ritorneremmo nella situazione di prima.

D. – Ora Barroso scriverà ai vari ministri, specificando nel dettaglio questa tipologia di deviazione. Anche qui c’è qualcuno che dice che dipenderà ora dai termini in cui verrà concessa questa deroga...

R. – Sì, ma non c’è da farsi illusioni. Non è che si tratti di una deroga per finanziare la cassa integrazione: è una deroga per fare programmi di formazione dei lavoratori ed eventualmente infrastrutture. Punto. Non è un finanziamento di spesa corrente, che è quello a cui tutti pensano. Quindi, mi pare che il dibattito possa nascere e chiudersi istantaneamente su questo. Piuttosto pensiamo a dove fare i tagli di spesa.

D. – “Essere credibili paga” è il motto che più sta interessando il Pd in questo momento. L’atteggiamento del governo Letta è stato determinante?

R. – Letta gode di una grossa credibilità presso le cancellerie internazionali, in parte ereditata dal governo Monti, in parte frutto della sua storia personale e in parte legata alla storia della formazione di questo governo, che comunque si è ritrovato su una piattaforma molto europeista. Adesso deve confermare con i fatti la credibilità e questa apertura di credito che gli è stata data dalle cancellerie. Ripeto: confermarla con i fatti vuol dire avere un piano serio e credibile di rimodulazione strutturale dei conti pubblici italiani, che porti avanti quello già varato dai precedenti governi – tutti e due: quello di Berlusconi e quello di Monti - evidentemente correggendo alcune delle storture di quei piani. Fuori dell’emergenza è ovvio, infatti, che non si possa vivere di sole tasse, ma bisogna – ripeto – iniziare ad incidere strutturalmente sui meccanismi di spesa.

D. – Contemporaneamente la Commissione Europea sta invece iniziando a tirare la cinghia sul Portogallo, nel senso che è allarmata dalla situazione politica teme anche credibilità finanziaria per questo Paese. Da una parte, si è più morbidi, dall’altra ci s’irrigidisce. E’ così?

R. – Sì, perché il Portogallo sta scontando oggi quello che la Grecia ha scontato un anno e mezzo fa, quando l’eccesso di austerità ha portato ad una crisi politica del Paese, ad una crisi di rigetto e quindi poi all’instabilità, che poteva evidentemente far deragliare i piani del Paese stesso. Tutti sappiamo com’è finita con la Grecia: nessuno esce dall’euro; si trova, dopo aspri negoziati, duri tiri e molla e prese di posizione reciproca un compromesso. Oggi vediamo la faccia dura della Commissione giustamente sul Portogallo, poi vedremo che cosa concederà il Portogallo e prima o poi una chiusura verrà trovata anche su quel Paese. Nel frattempo i mercati fanno l’otto volante e bisogna abituarsi a questo.

D. – Lei dice che è un iter già conosciuto, è tutto nella normalità...

R. – Non penso che un Paese di 2 o 4 milioni di abitanti, quanti sono i portoghesi, possa mettere in discussione il percorso di unificazione monetaria, unificazione bancaria e tutto quello che si è avviato nel continente, tantomeno creare un’instabilità politica a livello europeo, alla vigilia delle elezioni tedesche. E’ giusto che ci sia un negoziato, è giusto che l’instabilità politica venga in qualche modo tenuta in considerazione da parte di Bruxelles, ma penso che il negoziato si chiuderà velocemente su un nuovo compromesso, una rimodulazione del piano e altro.

Ultimo aggiornamento: 4 luglio







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