Ue bilanci: ok a maggiore flessibilità per i Paesi virtuosi. Esulta il governo Letta
I Paesi con i conti pubblici in ordine potranno sforare il tetto al deficit per finanziare
investimenti che rilancino la crescita, ad iniziare dall’Italia. Lo ha deciso la Commissione
europea. Ieri pomeriggio il commissario agli Affari economici Olli Rehn specifica:
la flessibilità concessa dalla Ue non può in alcun modo ''rompere il 3% di deficit''
e derogare dalla ''regola del debito'' scritta nel 'fiscal compact' che impone di
ridurlo di un ventesimo all'anno. Entusiasmo alla notizia data dalla Commissione europea
da parte del governo Letta che parla di ”un premio al lavoro fatto”. Plaudono anche
Confindustria e sindacati che rilanciano ora il patto sul fisco, mentre il Pdl con
Brunetta critica passi definiti “troppo timidi”. Come leggere dunque la decisione
e con quali prospettive? Gabriella Ceraso lo ha chiesto a Carlo Altomonte
docente di Politica economica europea alla Bocconi di Milano:
R. – Da un punto
di vista tecnico è una cosa buona, perché consente di usare dei margini di flessibilità,
di utilizzare dei fondi per spese di tipo strutturale: per infrastrutture o programmi
di sostegno e formazione al lavoro. Fa parte, quindi, sostanzialmente di una strategia
di sostegno all’occupazione recentemente varata dal Governo e poi, in qualche modo,
certificata anche dal Consiglio europeo, che ha confermato l’uso dei fondi per il
prossimo anno e non solo per questo. Il tranello, se vogliamo, è quello politico,
nel senso che si dà l’impressione che ci sia adesso un modo di spendere di più, senza
i tagli alla spesa, che invece continuano ad essere assolutamente necessari. E’ fondamentale
che la proposta di Saccomanni - di portare avanti la spending review e ridurre in
maniera strutturale le voci di spesa del Paese - continui ad avere supporto politico.
E’ evidente, infatti, che se noi dovessimo sforare il 3 per cento l’anno prossimo,
ritorneremmo nella situazione di prima.
D. – Ora Barroso scriverà ai vari ministri,
specificando nel dettaglio questa tipologia di deviazione. Anche qui c’è qualcuno
che dice che dipenderà ora dai termini in cui verrà concessa questa deroga...
R.
– Sì, ma non c’è da farsi illusioni. Non è che si tratti di una deroga per finanziare
la cassa integrazione: è una deroga per fare programmi di formazione dei lavoratori
ed eventualmente infrastrutture. Punto. Non è un finanziamento di spesa corrente,
che è quello a cui tutti pensano. Quindi, mi pare che il dibattito possa nascere e
chiudersi istantaneamente su questo. Piuttosto pensiamo a dove fare i tagli di spesa.
D.
– “Essere credibili paga” è il motto che più sta interessando il Pd in questo momento.
L’atteggiamento del governo Letta è stato determinante?
R. – Letta gode di
una grossa credibilità presso le cancellerie internazionali, in parte ereditata dal
governo Monti, in parte frutto della sua storia personale e in parte legata alla storia
della formazione di questo governo, che comunque si è ritrovato su una piattaforma
molto europeista. Adesso deve confermare con i fatti la credibilità e questa apertura
di credito che gli è stata data dalle cancellerie. Ripeto: confermarla con i fatti
vuol dire avere un piano serio e credibile di rimodulazione strutturale dei conti
pubblici italiani, che porti avanti quello già varato dai precedenti governi – tutti
e due: quello di Berlusconi e quello di Monti - evidentemente correggendo alcune delle
storture di quei piani. Fuori dell’emergenza è ovvio, infatti, che non si possa vivere
di sole tasse, ma bisogna – ripeto – iniziare ad incidere strutturalmente sui meccanismi
di spesa.
D. – Contemporaneamente la Commissione Europea sta invece iniziando
a tirare la cinghia sul Portogallo, nel senso che è allarmata dalla situazione politica
teme anche credibilità finanziaria per questo Paese. Da una parte, si è più morbidi,
dall’altra ci s’irrigidisce. E’ così?
R. – Sì, perché il Portogallo sta scontando
oggi quello che la Grecia ha scontato un anno e mezzo fa, quando l’eccesso di austerità
ha portato ad una crisi politica del Paese, ad una crisi di rigetto e quindi poi all’instabilità,
che poteva evidentemente far deragliare i piani del Paese stesso. Tutti sappiamo com’è
finita con la Grecia: nessuno esce dall’euro; si trova, dopo aspri negoziati, duri
tiri e molla e prese di posizione reciproca un compromesso. Oggi vediamo la faccia
dura della Commissione giustamente sul Portogallo, poi vedremo che cosa concederà
il Portogallo e prima o poi una chiusura verrà trovata anche su quel Paese. Nel frattempo
i mercati fanno l’otto volante e bisogna abituarsi a questo.
D. – Lei dice
che è un iter già conosciuto, è tutto nella normalità...
R. – Non penso che
un Paese di 2 o 4 milioni di abitanti, quanti sono i portoghesi, possa mettere in
discussione il percorso di unificazione monetaria, unificazione bancaria e tutto quello
che si è avviato nel continente, tantomeno creare un’instabilità politica a livello
europeo, alla vigilia delle elezioni tedesche. E’ giusto che ci sia un negoziato,
è giusto che l’instabilità politica venga in qualche modo tenuta in considerazione
da parte di Bruxelles, ma penso che il negoziato si chiuderà velocemente su un nuovo
compromesso, una rimodulazione del piano e altro.