2013-07-03 07:42:27

Egitto: Morsi in tv annuncia di non voler lasciare il potere


E' caos in Egitto. Il Paese è ancora fortemente diviso e l’impressione è che il presidente Morsi sia sempre più solo. Ieri in tv Morsi ha ribadito di voler restare al suo posto richiamando l’esercito al semplice svolgimento delle sue funzioni. Parole che non hanno disteso gli animi, a fine giornata sono state oltre 25 le vittime. Intanto la Fratellanza Musulmana ha fatto appello al martirio per evitare il golpe. Dal Cairo, il servizio di Giuseppe Acconcia:RealAudioMP3

Nella notte un gruppo di sostenitori del presidente Mohammed Morsi è stato attaccato da uomini non identificati alle porte dell’Università del Cairo. Almeno 16 sono i morti e oltre 200 i feriti. Poche ore prima, il presidente Morsi aveva pronunciato un discorso, trasmesso dalla televisione di Stato. Il presidente ha ribadito di non voler dimettersi e ha chiesto all'esercito di ritirare l’ultimatum alle forze politiche per la soluzione della crisi, che scade oggi. Morsi ha ammesso di aver commesso degli errori e che
il prezzo per preservare la democrazia è la sua stessa vita. Ha inoltre ricordato di essere il «primo leader dell'Egitto democraticamente eletto», e di operare sulla base della sola legittimità conferitagli dalla Costituzione. Nel pomeriggio di ieri erano proseguite le manifestazioni pro e anti Morsi in tutto il paese.
Di almeno sette morti è il bilancio dei nuovi scontri tra militanti islamisti e attivisti dell'opposizione laica. Gli scontri si sono concentrati nel governatorato di Giza. Il premio Nobel per la pace, Mohammed el-Baradei è stato indicato dai ribelli della campagna di raccolta firme per le dimissioni di Morsi, Tamarrod, e dal Fronte delle opposizioni come negoziatore in questa fase delicata. Dal canto suo, il segretario di Stato americano, John Kerry, ha telefonato al ministro degli Esteri egiziano dimissionario, Mohamed Kamel Amr per chiedere di proseguire nel dialogo con le opposizioni.

E dunque centrale in questo momento in Egitto è il ruolo dell’esercito che si è schierato apertamente con la piazza. In proposito Massimiliano Menichetti ha intervistato Gennaro Gervasio, docente di Storia e politica del Medio Oriente alla British University del Cairo:RealAudioMP3

R. - È fondamentale che gran parte dei manifestanti hanno salutato, quasi come una vittoria, l’ultimatum dell’esercito che è quello più importante rispetto a quello della disobbedienza civile. Molti immaginavano che l’esercito avrebbe potuto sentirsi in dovere di intervenire per arginare il caos - che in realtà ha contribuito a creare negli scorsi mesi -, però in pochi si aspettavano che ciò avvenisse subito dopo la grande manifestazione del 30 giugno.

D. - C’è già chi parla di un golpe dei miliari …

R. - Golpe … diciamo si parla di annuncio o comunque di un tentativo, di una possibilità di rientrare direttamente nello scenario da cui i militari erano usciti ufficialmente proprio il 30 giugno dell’anno scorso.

D. - Ma come è possibile che i militari rientrino in scena in questo modo?

R. - La polarizzazione è diventata tale da ritenere che un intervento dell’esercito possa emarginare definitivamente i Fratelli musulmani. Però, secondo me ci sono due problemi: innanzi tutto le intenzioni dell’esercito - supportato da una parte del gruppo dei ribelli Tamarrod che avevano votato per Shafik contro Morsi alle elezioni di un anno fa - sono tutt’altro che certe, compresa la road map di cui parlano e di cui non abbiamo alcuna idea, se non un passato poco promettente. Il secondo problema riguarda il fatto che i Fratelli musulmani non credo accetteranno di buon grado di uscire di scena in questo modo. Credo che ci sia una grossa miopia, e immagino che, al di là delle dichiarazioni, la leadership dei Fratelli musulmani stia cercando di trattare in qualche modo con l’esercito come è sempre avvenuto.

D. - Ma secondo lei, il presidente Morsi ha ancora margini di manovrabilità?

R. - Io penso di sì, però si stanno riducendo minuto dopo minuto. Quello che avrebbe potuto fare - chiaramente - sarebbe stato cercare di formare un governo di unità nazionale più inclusivo. Però, dopo la presa di posizione dei militari, credo che alcuni dell’opposizione in piazza, dove ci sono moltissimi che sono contro i Fratelli musulmani, prima di tutto, non si accontentano più di questa scelta, perché hanno letto l’ultimatum dell’esercito come un atto di sfiducia contro il presidente.

D. - Quali azioni dovrebbe intraprendere il presidente?

R. - Forse soltanto quella che però sarebbe comunque la parola “fine” per lui, cioè la richiesta di elezioni anticipate. Persino i salafiti - il gruppo più moderato che aveva sempre appoggiato Morsi al di là di alcune scaramucce retoriche, il partito Nour, che comunque era il secondo partito islamico egiziano nelle elezioni del disciolto parlamento - ha annunciato il ritiro del supporto a Morsi. Adesso insieme al resto dell’opposizione chiede le dimissioni e di avviarsi a elezioni anticipate. Alcuni poi chiedono che ci sia un referendum, ci troviamo davanti a scenari che non sono mai stati percorsi prima d’ora, in cui tutto è possibile.

D. - Le Nazioni Unite sono preoccupate per un possibile effetto domino sulla regione?

R. - L'effetto domino è già in azione. C’è la dinamica turca, c’è la guerra civile siriana, c’è la situazione in Libia che è tutt’altro dall’essere stabilizzata … È chiaro che l’Egitto, in quanto Paese più popoloso, in quanto Paese dove la rivoluzione ha avuto anche una risonanza internazionale, rimane da monitorare. Però, dal mio punto di vista, il fatto che ancora una volta la politica dal basso si sia imposta su quella alta, è un invito importante alla riflessione non solo a livello regionale ma a livello internazionale. Non possiamo confondere democrazie consolidate con democrazie in divenire in cui la legittimità popolare non viene espressa soltanto nelle urne.







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