2013-07-02 19:20:41

Crisi politica in Egitto. Le Forze armate potrebbero sospendere la Costituzione


In Egitto. Dopo l’ultimatum dell’esercito, è caos sul fronte politico: 5 ministri e il portavoce del governo Morsi si sono già dimessi, e il premier Kandil si dice pronto a rimettere il suo mandato. Nella bozza del piano messo a punto dalle forze armate anche la sospensione della Costituzione e lo scioglimento del Parlamento. Appelli al dialogo dall’Onu e dal capo della Casa Bianca, Barak Obama, ma le manifestazioni non si fermano. Cecilia Seppia:RealAudioMP3

Dopo aver respinto l’ultimatum dell’esercito, il presidente egiziano Mohamed Morsi appare sempre più isolato. 5 i ministri che hanno lasciato l’esecutivo, altri 2 in forse e ora anche il suo braccio destro Kandil si è detto pronto a dimettersi pur di allentare la crisi in atto. Continueremo a seguire il nostro piano per la riconciliazione, dice il capo di stato, che intanto convoca riunioni d’emergenza, compresa quella, con il leader delle forze armate, Fattah al Sisi, ma la voce della piazza torna a farsi sentire, con sit in e proteste davanti al palazzo presidenziale e il blocco dei governatorati in 12 città, tra cui Alessandria e Suez, con i soldati che hanno iniziato a controllare le strade. Nella road map messa a punto dall’esercito per facilitare la transizione, anche la sospensione della Costituzione, lo scioglimento del Parlamento, e la creazione di un Consiglio ad interim questo ovviamente solo nel caso di una mancata intesa con Morsi. L’opposizione dal canto suo ribadisce di non voler assecondare nessun golpe militare, ma di battersi per nuove elezioni presidenziali. Intanto la magistratura mostra il pugno duro con il reintegro del procuratore generale, cacciato da Morsi a novembre perché accusato di parteggiare per i Fratelli Musulmani. Durante la notte la telefonata di Obama a Morsi e il monito a lavorare per il dialogo, rilanciato anche dall’Onu.

Dal Cairo il servizio di Giuseppe Acconcia:RealAudioMP3

La crisi politica si aggrava. L'esercito potrebbe disporre la sospensione della Costituzione e lo scioglimento del Parlamento. Il premier egiziano Hesham Qandil ha rimesso il suo mandato nelle mani del presidente Mohammed Morsi. I due portavoce della presidenza della Repubblica Omar Amer e Ihab Fahmy hanno presentato le loro dimissioni. Dal canto suo, dopo aver respinto la richiesta di dimissioni, la presidenza diffonderà un comunicato nelle prossime ore. Mentre i Fratelli musulmani avvertono i dimostranti di rischi di violenze per chi scenderà in piazza oggi. Le opposizioni hanno assicurato che non sosterranno un golpe militare. I manifestanti anti-Morsi, impegnati nella campagna di raccolta firme per le sue dimissioni Tamarod (ribellione) hanno avviato una serie di iniziative di disobbedienza civile, bloccando l'accesso alle sedi di dodici dei 27 governatorati.

Ieri, dunque Morsi ha respinto l'ultimatum delle Forze armate che ormai sono schierate con la piazza. Su questo aspetto Massimiliano Menichetti ha intervistato Gennaro Gervasio, docente di Storia e politica del Medio Oriente alla British University del Cairo:RealAudioMP3

R. - È fondamentale che gran parte dei manifestanti hanno salutato, quasi come una vittoria, l’ultimatum dell’esercito che è quello più importante rispetto a quello della disobbedienza civile. Molti immaginavano che l’esercito avrebbe potuto sentirsi in dovere di intervenire per arginare il caos - che in realtà ha contribuito a creare negli scorsi mesi -, però in pochi si aspettavano che ciò avvenisse subito dopo la grande manifestazione del 30 giugno.

D. - C’è già chi parla di un golpe dei miliari …

R. - Golpe … diciamo si parla di annuncio o comunque di un tentativo, di una possibilità di rientrare direttamente nello scenario da cui i militari erano usciti ufficialmente proprio il 30 giugno dell’anno scorso.

D. - Ma come è possibile che i militari rientrino in scena in questo modo?

R. - La polarizzazione è diventata tale da ritenere che un intervento dell’esercito possa emarginare definitivamente i Fratelli musulmani. Però, secondo me ci sono due problemi: innanzi tutto le intenzioni dell’esercito - supportato da una parte del gruppo dei ribelli Tamarrod che avevano votato per Shafik contro Morsi alle elezioni di un anno fa - sono tutt’altro che certe, compresa la road map di cui parlano e di cui non abbiamo alcuna idea, se non un passato poco promettente. Il secondo problema riguarda il fatto che i Fratelli musulmani non credo accetteranno di buon grado di uscire di scena in questo modo. Credo che ci sia una grossa miopia, e immagino che, al di là delle dichiarazioni, la leadership dei Fratelli musulmani stia cercando di trattare in qualche modo con l’esercito come è sempre avvenuto.

D. - Ma secondo lei, il presidente Morsi ha ancora margini di manovrabilità?

R. - Io penso di sì, però si stanno riducendo minuto dopo minuto. Quello che avrebbe potuto fare - chiaramente - sarebbe stato cercare di formare un governo di unità nazionale più inclusivo. Però, dopo la presa di posizione dei militari, credo che alcuni dell’opposizione in piazza, dove ci sono moltissimi che sono contro i Fratelli musulmani, prima di tutto, non si accontentano più di questa scelta, perché hanno letto l’ultimatum dell’esercito come un atto di sfiducia contro il presidente.

D. - Quali azioni dovrebbe intraprendere il presidente?

R. - Forse soltanto quella che però sarebbe comunque la parola “fine” per lui, cioè la richiesta di elezioni anticipate. Persino i salafiti - il gruppo più moderato che aveva sempre appoggiato Morsi al di là di alcune scaramucce retoriche, il partito Nour, che comunque era il secondo partito islamico egiziano nelle elezioni del disciolto parlamento - ha annunciato il ritiro del supporto a Morsi. Adesso insieme al resto dell’opposizione chiede le dimissioni e di avviarsi a elezioni anticipate. Alcuni poi chiedono che ci sia un referendum, ci troviamo davanti a scenari che non sono mai stati percorsi prima d’ora, in cui tutto è possibile.

D. - Le Nazioni Unite sono preoccupate per un possibile effetto domino sulla regione?

R. - L'effetto domino è già in azione. C’è la dinamica turca, c’è la guerra civile siriana, c’è la situazione in Libia che è tutt’altro dall’essere stabilizzata … È chiaro che l’Egitto, in quanto Paese più popoloso, in quanto Paese dove la rivoluzione ha avuto anche una risonanza internazionale, rimane da monitorare. Però, dal mio punto di vista, il fatto che ancora una volta la politica dal basso si sia imposta su quella alta, è un invito importante alla riflessione non solo a livello regionale ma a livello internazionale. Non possiamo confondere democrazie consolidate con democrazie in divenire in cui la legittimità popolare non viene espressa soltanto nelle urne.







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