Regno Unito: i vescovi chiedono di emendare la legge sulle nozze gay
In un recente documento pubblicato sul sito della Conferenza episcopale e ripreso
dall’Osservatore Romano, i vescovi inglesi e gallesi chiedono una serie di emendamenti
alla legge che autorizza la celebrazione nel Regno Unito, anche nei luoghi di culto
(tranne in quelli anglicani), dei “matrimoni” fra persone dello stesso sesso. Il “Marriage
Bill”, che ridefinisce il matrimonio tradizionale, è stato già esaminato in seconda
lettura alla Camera dei Lord, dopo l’approvazione alla Camera dei Comuni nel maggio
scorso, ma dovrà superare una terza lettura a luglio prima dell’approvazione definitiva.
Mentre prosegue l’iter parlamentare del provvedimento, i vescovi inglesi e gallesi
tornano dunque a ribadire la necessità che, in caso di approvazione, esso garantisca
una serie di protezioni alle comunità religiose, a partire dalla libertà di espressione
e di educazione. Rimane infatti ancora viva l’attenzione sul fatto che la normativa
possa essere varata senza che vengano incluse una serie di garanzie su temi che preoccupano
l’episcopato. Si tratta in particolare di garanzie collettive e individuali. Le scuole,
per esempio, potrebbero essere costrette a parlare liberamente dei “matrimoni” omosessuali,
sulla base della sostanziale equiparazione — all’interno dell’Education Act del 1996
che regola i programmi didattici sulla base delle leggi dello Stato — fra le unioni
tra persone dello stesso sesso e il matrimonio tradizionale. L’educazione degli alunni
“sulla natura del matrimonio e la sua importanza per la vita della famiglia e lo sviluppo
dei bambini” verrebbe di fatto modificata, in quanto con la nuova normativa “il matrimonio
ha gli stessi effetti in relazione alle coppie formate da persone dello stesso sesso
e a quelle invece formate da persone di sesso opposto”. Nel documento si richiama
inoltre il rischio che le persone che si oppongono all’applicazione del provvedimento
possano subire “forme di pregiudizio” ed essere perseguite persino con sanzioni penali.
La legge potrebbe poi limitare i diritti individuali sui luoghi di lavoro. Finora
infatti, si evidenzia nel documento, “non è stato stabilito nulla per proteggere gli
ufficiali dello stato civile che hanno un’obiezione di coscienza”. Inoltre la normativa
non assicura la protezione delle organizzazioni religiose di fronte ai ricorsi giudiziari
di coloro che sono favorevoli a tali “matrimoni”, i quali possono, per esempio, appellarsi
all’Human Rights Act del 1998 o all’Equality Act del 2010. E alle comunità religiose
potrebbero non essere concesse sovvenzioni pubbliche. (L.Z.)