Siria: il ricordo di padre François ucciso dai miliziani islamici
La Siria sempre in preda alla violenza, mentre nella comunità internazionale cresce
il tono del dibattito sul futuro del regime di Assad. Secondo il Wall Street Journal,
gli Stati Uniti sarebbero pronti a fornire armi ai ribelli entro un mese. Dello stesso
avviso il cancelliere tedesco, Angela Merkel. Diversa la posizione dell’Italia che,
per bocca del ministro degli Esteri, Emma Bonino, afferma: “No a forniture di armi,
ma Assad deve lasciare la guida del Paese". Ieri un kamikaze si è fatto esplodere
davanti alla cattedrale greco-ortodossa di Bab Tuma, nel centro storico di Damasco.
Il bilancio è di quattro morti e almeno otto feriti. Intanto, è sempre vivo il ricordo
di padre FrançoisMourad, il sacerdote assassinato il 23 giugno scorso a Ghassanieh
da un gruppo di miliziani islamici legati ad al-Qaeda. “Era un uomo di fede che ha
dato la vita per Cristo e per i siriani”, ricorda in un’intervista ad Asia News un
frate francescano che opera in Siria. Noi abbiamo raccolto la testimonianza di Susan
Dabbous, giornalista free lance, recentemente sequestrata dai ribelli e che ha
incontrato in quel frangente padre Francois. L’intervista è di Giancarlo La Vella:
R. – Lo abbiamo
conosciuto, io e i miei colleghi quando siamo stati sequestrati in Siria, il 3 aprile
scorso. Ci trovavamo proprio nel villaggio cristiani di Ghassanieh, dove lui era rimasto
praticamente da solo. La popolazione aveva completamente abbandonato l'abitato e gli
avevamo chiesto perché lui fosse rimasto, nonostante ricevesse continuamente minacce
dai miliziani che si trovavano lì ad occupare la zona. E, oltre a questo, c’era anche
il problema degli incessanti bombardamenti. Sicuramente, aveva un carattere forte,
spinto dalla sua grande fede e ci ha detto: "Sono un uomo di Chiesa: io non abbandono
i nostri luoghi sacri".
D. – La situazione che ha vissuto padre François è
un po’ la stessa che vivono i cristiani in Siria in questo momento?
R. – No.
Innanzitutto, perché in genere i cristiani che sono in pericolo fuggono, prevengono
le aggressioni proprio perché riescono a fuggire e gli viene permesso di fuggire.
Il problema dei cristiani in Siria sorge lì dove ci sono le aree controllate dai fondamentalisti
islamici di tipo talebano, quindi affiliati ad al Qaeda. E lì che nasce l’odio confessionale.
L’auspicio è che ci sia un intervento da parte della comunità internazionale, anche
solo di stampo umanitario. Era quello che ci chiese padre François quando lo incontrammo.
Come a dire che era un po’ inutile parlare con i giornalisti senza far capire all’Occidente
quale fosse la terribile situazione dei cristiani in Siria, se poi non c’era un intervento,
una reazione se poi nessuno muoveva un dito.
D. – Il sacrificio di padre François
che cosa ha lasciato in voi che lo avete conosciuto?
R. – Per me, è un grande
insegnamento: non possiamo, anche come giornalisti, fermarci alla superficie. Giustamente
lui diceva: voi venite qui, seguite la storia, guardate il sangue che scorre e ve
ne andate. E questo è vero, purtroppo. Dovevamo vedere meglio la disperazione nei
suoi occhi, oltre al fatto che ci stava dando un messaggio molto duro che era quello
di metterci di fronte la realtà e che noi giornalisti in quel momento non servivamo
assolutamente a nulla. Spero che questo cambi anche il modo per me di fare questo
lavoro. Vorrei, quando mi trovo di fronte una situazione del genere, andare oltre
e vedere che cosa c’è veramente nel cuore e nella testa delle persone.