Il Papa al Comitato ebraico per le consultazioni interreligiose: "Un cristiano non
può essere antisemita"
“Un cristiano non può essere antisemita”: è la frase forte pronunciata da Papa Francesco
nel corso dell’udienza di ieri in Vaticano ai membri del “Comitato Ebraico Internazionale
per le Consultazioni Interreligiose” (International Jewish Committee on Interreligious
Consultations). Nel suo discorso, il Pontefice ha evidenziato la lunga relazione
di amicizia tra cristiani ed ebrei ed ha incoraggiato a proseguire sulla strada intrapresa.
Il servizio di Benedetta Capelli:
Per due volte
nel suo discorso, Papa Francesco ripete ai “fratelli maggiori” la parola shalom,
“pace”. Lo fa all’inizio ricordando i 40 anni di "dialogo regolare" tra ebrei e cristiani,
che hanno contribuito a rafforzare “la reciproca comprensione ed i legami di amicizia”.
Poi al termine dell’udienza, quando chiede e assicura il “dono della preghiera”. A
guidare le parole del Papa la Dichiarazione conciliare Nostra Aetate, “un punto
di riferimento fondamentale per quanto riguarda le relazioni con il popolo ebraico”:
“La
Chiesa riconosce che 'gli inizi della sua fede e della sua elezione si trovano già,
secondo il mistero divino della salvezza, nei Patriarchi, in Mosè e nei Profeti'.
E, quanto al popolo ebraico, il Concilio ricorda l’insegnamento di San Paolo, secondo
cui 'i doni e la chiamata di Dio sono irrevocabili', ed inoltre condanna fermamente
gli odi, le persecuzioni, e tutte le manifestazioni di antisemitismo. Per le nostre
radici comuni, un cristiano non può essere antisemita!”
Una frase forte
che segna questa “prima occasione” di confronto con “un gruppo ufficiale di rappresentanti
di organizzazioni e comunità ebraiche”. Papa Francesco aggiunge che proprio i principi
conciliari hanno segnato “il cammino di maggiore conoscenza e comprensione reciproca”,
intrapreso negli ultimi decenni tra ebrei e cattolici grazie anche a dichiarazioni
e gesti importanti da parte dei Pontefici precedenti. Un percorso – evidenzia il Papa
– che è “la parte più visibile di un vasto movimento che si è realizzato a livello
locale un po’ in tutto il mondo”. Qui ricorda la sua esperienza come arcivescovo di
Buenos Aires con confronti, dialoghi con gli ebrei sulla “rispettiva identità religiosa”,
sulle “modalità per tenere vivo il senso di Dio in un mondo per molti tratti secolarizzato”:
“Mi sono confrontato con loro in più occasioni sulle comuni sfide che attendono
ebrei e cristiani. Ma soprattutto, come amici, abbiamo gustato l’uno la presenza dell’altro,
ci siamo arricchiti reciprocamente nell’incontro e nel dialogo, con un atteggiamento
di accoglienza reciproca, e ciò ci ha aiutato a crescere come uomini e come credenti”.
Un’amicizia
che ha inevitabilmente rappresentato “la base del dialogo” che ad oggi si sviluppa
sul piano ufficiale; una strada che va ancora battuta “coinvolgendo anche le nuove
generazioni”:
“L’umanità ha bisogno della nostra comune testimonianza in
favore del rispetto della dignità dell’uomo e della donna creati ad immagine e somiglianza
di Dio, e in favore della pace che, primariamente, è un dono suo. Mi piace qui ricordare
le parole del profeta Geremia: 'Io conosco i progetti che ho fatto a vostro riguardo
– oracolo del Signore – progetti di pace e non di sventura, per concedervi un futuro
pieno di speranza”.