2013-06-22 15:06:22

Ancora nessun accordo a Lussemburgo sulle nuove regole per le banche


I ministri delle Finanze dell'Unione Europea si sono congedati nella notte senza l’accordo su un meccanismo unico per un eventuale 'fallimento ordinato' delle banche. Si tratterebbe di trovare regole comuni per liquidare le banche in difficoltà senza fare appello ai contribuenti. La discussione riprenderà mercoledì. L’Ecofin ha approvato invece definitivamente la chiusura della procedura per deficit eccessivo per l’Italia. Dell’importanza del provvedimento europeo sulle banche e delle prospettive per l’Italia, Fausta Speranza ha parlato con l’economista Paolo Guerrieri, docente di economia internazionale all’Università La Sapienza di Roma:RealAudioMP3

R. – L’unione bancaria a livello europeo è un tassello fondamentale per far funzionare l’unione monetaria e quindi l’area dell’Euro. La sorveglianza comune è ormai un traguardo – diciamo – che abbiamo raggiunto. Adesso si dovrebbero, appunto, varare questi meccanismi di risoluzione delle crisi comuni, in cui a un certo punto ci deve essere un’autorità che decide come ripartire i costi del fallimento e quindi che siano soprattutto coloro che hanno usufruito o che hanno avuto ritorni da una banca a pagare e non i cittadini con le imposte. Su questo punto non c’è accordo in Europa, perché si tratta di decidere a un certo punto anche su un trasferimento di risorse e questo trasferimento di risorse tra Paesi oggi è un discorso tabù: quindi i Paesi creditori hanno detto “sì” al meccanismo comune, ma che ognuno paghi per sé. Ma questa è una contraddizione in termini: ancora una volta, troviamo una specie di muro in Europa per quanto riguarda la capacità di esprimere solidarietà tra Paesi.

D. – L’Ecofin di ieri ha varato definitivamente la chiusura della procedura per l’Italia. Il ministro Saccomanni parla di “maggiori gradi di libertà”: che ci dice su questo?

R. – Sulla carta è proprio così. Nel senso che l'Italia ha fatto sforzi enormi, ha pagato costi enormi, dal 2009 in poi, per arrivare ad oggi a portare il nostro deficit sotto il 3 per cento ed essere tra i pochi – perché sono pochissimi i Paesi che oggi hanno questa situazione; la Francia e la Spagna, per esempio, non sono tra i virtuosi. Adesso ci aspetteremmo non dico una ricompensa, ma la possibilità perlomeno di usare risorse per il futuro di questo Paese - quindi investire per lo sviluppo - e che queste risorse non pesino come la spesa corrente sui deficit. Questo è il tema aperto che c’è. A livello europeo c’è ancora un atteggiamento - direi - molto burocratico-notarile: non si vuole concedere poi al tema degli investimenti quella che si chiama la “golden rule”, cioè la “regola aurea”, secondo la quale questi investimenti non siano conteggiati come il resto nel deficit di un Paese. Quindi io temo che a giugno non si otterrà nulla: la partita vera si giocherà, ancora una volta, a fine anno, dopo le elezioni tedesche.

D. – Però qual è il ruolo dell’Italia a questo punto, perché questi maggiori gradi di libertà significhino degli impegni precisi per migliorare la situazione dei cittadini e non per andare a compensare, come dire, "buchi di Stato" o di "banche pasticcioni"?

R. – Noi purtroppo abbiamo una storia che è costellata di falsi investimenti: a parole le spese venivano classificate come tali e poi nei fatti queste risorse sono state sperperate o addirittura neanche spese. Quindi questo è il secondo punto fondamentale: prima dobbiamo ottenere che l’Europa riconosca agli investimenti il loro status di spese per il futuro dei Paesi. Ma poi dobbiamo monitorare attentamente affinché queste risorse siano utilizzate per lo sviluppo dell’Italia e non certo per – diciamo in qualche maniera – sanare gli errori o anche di peggio che è stato fatto fin qui. Quindi, sono due le condizioni che nei prossimi mesi dobbiamo portare avanti insieme.







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