Ancora nessun accordo a Lussemburgo sulle nuove regole per le banche
I ministri delle Finanze dell'Unione Europea si sono congedati nella notte senza l’accordo
su un meccanismo unico per un eventuale 'fallimento ordinato' delle banche. Si tratterebbe
di trovare regole comuni per liquidare le banche in difficoltà senza fare appello
ai contribuenti. La discussione riprenderà mercoledì. L’Ecofin ha approvato invece
definitivamente la chiusura della procedura per deficit eccessivo per l’Italia. Dell’importanza
del provvedimento europeo sulle banche e delle prospettive per l’Italia, Fausta
Speranza ha parlato con l’economista Paolo Guerrieri, docente di economia
internazionale all’Università La Sapienza di Roma:
R. – L’unione
bancaria a livello europeo è un tassello fondamentale per far funzionare l’unione
monetaria e quindi l’area dell’Euro. La sorveglianza comune è ormai un traguardo –
diciamo – che abbiamo raggiunto. Adesso si dovrebbero, appunto, varare questi meccanismi
di risoluzione delle crisi comuni, in cui a un certo punto ci deve essere un’autorità
che decide come ripartire i costi del fallimento e quindi che siano soprattutto coloro
che hanno usufruito o che hanno avuto ritorni da una banca a pagare e non i cittadini
con le imposte. Su questo punto non c’è accordo in Europa, perché si tratta di decidere
a un certo punto anche su un trasferimento di risorse e questo trasferimento di risorse
tra Paesi oggi è un discorso tabù: quindi i Paesi creditori hanno detto “sì” al meccanismo
comune, ma che ognuno paghi per sé. Ma questa è una contraddizione in termini: ancora
una volta, troviamo una specie di muro in Europa per quanto riguarda la capacità di
esprimere solidarietà tra Paesi.
D. – L’Ecofin di ieri ha varato definitivamente
la chiusura della procedura per l’Italia. Il ministro Saccomanni parla di “maggiori
gradi di libertà”: che ci dice su questo?
R. – Sulla carta è proprio così.
Nel senso che l'Italia ha fatto sforzi enormi, ha pagato costi enormi, dal 2009 in
poi, per arrivare ad oggi a portare il nostro deficit sotto il 3 per cento ed essere
tra i pochi – perché sono pochissimi i Paesi che oggi hanno questa situazione; la
Francia e la Spagna, per esempio, non sono tra i virtuosi. Adesso ci aspetteremmo
non dico una ricompensa, ma la possibilità perlomeno di usare risorse per il futuro
di questo Paese - quindi investire per lo sviluppo - e che queste risorse non pesino
come la spesa corrente sui deficit. Questo è il tema aperto che c’è. A livello europeo
c’è ancora un atteggiamento - direi - molto burocratico-notarile: non si vuole concedere
poi al tema degli investimenti quella che si chiama la “golden rule”, cioè la “regola
aurea”, secondo la quale questi investimenti non siano conteggiati come il resto nel
deficit di un Paese. Quindi io temo che a giugno non si otterrà nulla: la partita
vera si giocherà, ancora una volta, a fine anno, dopo le elezioni tedesche.
D.
– Però qual è il ruolo dell’Italia a questo punto, perché questi maggiori gradi di
libertà significhino degli impegni precisi per migliorare la situazione dei cittadini
e non per andare a compensare, come dire, "buchi di Stato" o di "banche pasticcioni"?
R.
– Noi purtroppo abbiamo una storia che è costellata di falsi investimenti: a parole
le spese venivano classificate come tali e poi nei fatti queste risorse sono state
sperperate o addirittura neanche spese. Quindi questo è il secondo punto fondamentale:
prima dobbiamo ottenere che l’Europa riconosca agli investimenti il loro status di
spese per il futuro dei Paesi. Ma poi dobbiamo monitorare attentamente affinché queste
risorse siano utilizzate per lo sviluppo dell’Italia e non certo per – diciamo in
qualche maniera – sanare gli errori o anche di peggio che è stato fatto fin qui. Quindi,
sono due le condizioni che nei prossimi mesi dobbiamo portare avanti insieme.