Turchia: polemiche per l'eccessivo uso della forza da parte della polizia
Calma blindata in Turchia. Ieri solo qualche incidente a Istanbul dopo il corteo dei
due maggiori sindacati che però hanno rinunciato a raggiungere Piazza Taksim. Sempre
ieri il premier Erdogan ha minacciato l'impiego dell'esercito contro i manifestanti,
sfidando le critiche della comunità internazionale per l’eccessivo uso della forza.
“Non riconosco il Parlamento Europeo”: ha detto Erdogan dopo le denunce della repressione
da parte di Bruxelles. Sulla situazione Benedetta Capelli ha intervistato Marco
Ansaldo, inviato de “La Repubblica” ad Istanbul:
R. - La Turchia
è spaccata in due: c’è una Turchia che si riunisce intorno al suo leader, che ha dei
valori religiosi molti forti, ma che tendono poi ad avere la prevalenza, diventando
anche leggi dello Stato; questo è il suo tentativo. A questo intendimento, si contrappone
- invece - l’altra Turchia più democratica, più vicina all’Occidente, sicuramente
più laica che, pur essendo al 99 percento musulmana, non vuole sottostare a imposizioni,
soprattutto da un punto di vista religioso, che dopo dieci anni tendono a diventare
prevalenti.
D. - Come mai, Erdogan ha criticato fortemente anche i giornalisti
stranieri?
R. - Erdogan finge, oppure non mostra di voler capire quali sono
davvero gli umori della piazza che non vuole più sottostare a determinate imposizioni.
E allora il riflesso qual è? Lo ha dimostrato pienamente ieri, in questo mega raduno
organizzato alla periferia di Istanbul, prendendosela non soltanto con l’opposizione,
ma soprattutto con i media - visto che molti media locali ahimè hanno problemi
di censura o di autocensura -, soprattutto con quelli stranieri, che invece stanno
facendo un lavoro di copertura eccellente. In questo blocco di media turchi tradizionali
un lavoro capillare è stato fatto dalle piccoli emittenti radiofoniche, i social network,
Twitter… Quindi, i media turchi, che sono nati in maniera artigianale dopo questa
rivolta, hanno colto pienamente gli umori, cercando di trasmetterli alle persone che
quasi con un tam tam lasciavano perdere gli organi tradizionali di informazione
cercando di informarsi via web di quello che accadeva davvero a Piazza Taksimo
al Gezi Park.
D. - Quali sono, secondo te, gli strumenti che ha a disposizione
Erdogan per uscire da questa empasse?
R. - Erdogan lo sta dimostrando con un
pugno di ferro. È determinato ad andare avanti. Il problema non è tanto l’Islam, ma
è l’autoritarismo. Mi chiederei piuttosto cosa può fare la piazza. Io sto cogliendo
degli umori di disincanto nella folla che ormai non trova più un punto di riferimento
logistico, perché Piazza Taksim è stata evacuata ed oggi è tornata quasi alla normalità;
il Gezi Park continua ad essere occupato dalla polizia, quindi la gente non solo non
ha un leader in questa protesta, ma non sa più nemmeno dove ritrovarsi. Da qui bisogna
ripartire per vedere come si convoglierà la rivolta nei confronti di colui che lo
fa arrabbiare e che molti qui definiscono “il sultano”.
D. - A livello internazionale,
come esce la figura di Erdogan che in passato si era sempre proposto come un interlocutore
credibile ed affidabile?
R. - Molto male. Intendiamoci, Erdogan ha avuto dei
meriti straordinari: ha portato il Paese a livelli economici formidabili, con un Pil
che negli ultimi anni ha superato addirittura quello della Cina, ha fatto della Turchia
un faro per il mondo circostante – l’ex Repubblica sovietica, il Caucaso, una buona
parte del Medio Oriente, il nord dell’Africa, i Balcani -, è sempre un Paese candidato
all’ingresso nell’Unione Europea, seppur con tante difficoltà. Quindi i due lustri
di Erdogan al potere sono stati sicuramente molto importanti, però il pugno di ferro
che ha usato per stroncare la rivolta, il non capire le ragioni della parte politica
che non lo ha votato, sicuramente gli costano, da questo punto in poi, molto sul piano
dell’affidabilità e della credibilità. Io credo che i leader europei ed occidentali
credano molto nella Turchia; da oggi, molto meno nel suo leader attuale.