Sciopero generale in Grecia dopo la chiusura della tv e radio pubblica
Massiccia adesione, giovedì, in Grecia allo sciopero generale convocato per protestare
contro la decisione del governo di chiudere la televisione pubblica Ert con il conseguente
licenziamento di quasi tremila persone. Disagi per i trasporti, Atene è rimasta semiparalizzata.
Intanto lunedì il premier Samaras ha fissato un incontro con gli alleati che avevano
polemizzato con la sua decisione di chiudere la radio e tv pubblica. Benedetta Capelli
ha parlato con Franco Siddi, segretario della Federazione nazionale stampa italiana
(Fnsi), che ieri è arrivato ad Atene per portare la solidarietà dei giornalisti italiani
ai colleghi greci:
R. – Abbiamo
portato la solidarietà, perché ci siamo resi conto che non siamo in presenza di una
semplice operazione industriale, in cui c’è una crisi e si procede ad una riorganizzazione,
ma c’è proprio un’operazione di taglio, cesura, che nega il servizio pubblico radiotelevisivo
ai cittadini greci; fa perdere il posto di lavoro a tremila persone, dal giorno alla
notte; dal giorno alla notte toglie la televisione nazionale ai greci in casa e ai
greci nel mondo; e fa mancare nel panorama delle televisioni nazionali europee, delle
27 lingue della nostra Europa unita, una lingua. Peraltro, il governo greco non ha
prodotto ragioni plausibili, se non quelle di dover rispondere agli obblighi della
troika europea, che vigila sui conti pubblici. Ma se fosse questo il problema, si
riorganizzerebbe l’industria da subito e non fra tre mesi, come si dice. Oggi io ho
avuto questa sensazione, sia accendendo la televisione la mattina sia parlando con
molti colleghi e con molti cittadini, tutti hanno la sensazione di essere stati defraudati,
derubati di qualcosa che appartiene alla loro anima e ai loro beni familiari.
D.
– L’ipotesi, comunque, di una riapertura in un nuovo ente non ha tranquillizzato i
giornalisti greci...
R. – Non tranquillizza, perché queste cose quando si fanno
devono essere contemporanee. L’Alitalia, ad esempio, è passata da una notte all’altra
da una società all’altra; ha subito una grande ristrutturazione e ha continuato ad
operare. Qui invece si è spenta la televisione pubblica, la radiotelevisione pubblica,
non c’è più: è spenta; è finita. Qui si è contravvenuto anche all’accordo dell’Ebu,
della European Broadcasting Union, che prevede in ogni Paese degli Stati membri un
servizio pubblico e radiotelevisivo, senza interruzione.
D. – C’è, secondo
lei, la possibilità di effetto domino anche in altri Paesi in difficoltà economica?
R.
– Qualche paura c’è oggettivamente. Se passa questa idea che si possa agire sulla
testa delle persone, sui propri beni civici in qualche modo, senza colpo ferire, senza
rendere conto a nessuno, si vanno a scombinare le società, a prescindere dagli altri
disastri che si creano.
D. – C’è un pensiero che i colleghi greci le hanno
consegnato?
R. – Fate sentire questa voce, la voce di coloro che si occupano
di beni pubblici fondamentali per la vita delle persone. E sicuramente l’informazione
lo è, anche quando è organizzata con mille difetti e con i suoi servizi. Fate in modo
che il nostro Paese non proceda su una strada, che è quella di una riduzione della
democrazia, della nostra libertà. Aiutateci e non fateci sentire soli. Possiamo spuntarla
solo se da tutto il mondo continuano ad arrivare voci così: di solidarietà e di sostegno
reale.
D. – I giornalisti stanno comunque continuando a trasmettere in streaming?
R.
– In streaming e sperano di poterlo fare ancora. Temono che da un momento all’altro
qualcuno decida di staccare la corrente. E’ un segno di visibilità, un attaccamento
al lavoro, un amore per la loro azienda, per il loro Paese da parte dei colleghi.
Ma la cosa straordinaria su tutte, credo sia quella della partecipazione spontanea
dei cittadini di questo Paese ad un’azione che è di protesta e allo stesso tempo di
manifestazione di un’angoscia pubblica. La gente spontaneamente si è radunata per
tutto il giorno davanti alla sede dell’Ert dando vita ad una dimostrazione con altre
50, forse 100 mila persone. Vuol dire che anche chi non sa nulla o quasi del servizio
pubblico, dei suoi meccanismi e delle sue competizioni interne - diciamo così - o
politiche, ha percepito che gli si stava sottraendo un pezzo d’anima, un pezzo della
propria carne.