La Nato chiede a Damasco verifiche sulle armi chimiche
Il governo siriano deve garantire l'accesso alle Nazioni Unite affinché possano indagare
sull'uso di gas sarin nel conflitto. E’ quanto afferma il segretario generale della
Nato, Rasmussen, ribadendo che l'uso di armi chimiche è inaccettabile. Gli Stati Uniti
hanno dichiarato di averne accertato l'uso da parte del regime di Assad, che parla
di "rapporto pieno di menzogne". Ora, gli Stati Uniti si dicono pronti a dare il via
libera alla fornitura di armi ai ribelli. C’è anche l’ipotesi di una "no fly zone
limitata". Della svolta nella posizione degli Stati Uniti, Fausta Speranza
ha parlato con Germano Dottori, docente di Studi strategici all’Università
Luiss:
R. – In realtà,
aiuti sottobanco ai ribelli arrivano da molti mesi, probabilmente già dall’anno scorso,
ma senza che ci fosse il supporto di una presa di posizione ufficiale. Ora, questa
presa di posizione c’è ed è evidente che gli Stati Uniti stanno a mio avviso cercando
di impedire la vittoria definitiva dei lealisti, che sono sul punto per attaccare
Aleppo. Non è da escludere che l’obiettivo finale sia quello di riequilibrare un po’
le sorti del conflitto sul terreno, anche per facilitare poi una soluzione di compromesso.
D. – E’ pensabile che si impongano verifiche a Damasco?
R. – Sicuramente,
l’Alleanza Atlantica autonomamente non può muoversi. Però, evidentemente c’è una pressione
politica – che immagino coordinata – che tende a sollecitare un’iniziativa da parte
delle Nazioni Unite. Alle Nazioni Unite, prevedibilmente, al momento in cui il Consiglio
di sicurezza venisse interessato della questione, dovremmo attenderci un esercizio
del diritto di veto da parte della Russia e verosimilmente anche della Cina. Credo
che, sotto questo punto di vista, non dovrebbero esserci particolari novità e forse
da un punto di vista occidentale è anche meglio che sia così, perché sembra che effettivamente
i lealisti abbiano fatto uso in piccole quantità a partire dallo scorso dicembre di
gas sarin, ma è altrettanto vero che anche il Fronte al-Nusra è entrato in possesso
del sarin.
D. – Parliamo della proposta di una “no-fly zone”: in che cosa dovrebbe
consistere?
R. – Più o meno, nella imposizione di un divieto di sorvolo da
parte degli aerei dipendenti dal regime di Damasco sulle zone che sono controllate
dalla guerriglia. Su questo specifico aspetto, ci sono molte difficoltà, non ultimo
anche il fatto che la Russia ha fatto intendere di essere disponibile a rifornire
la Siria di sistemi antimissilistici e antiaerei molto sofisticati – gli S300 – che
dovrebbero essere “operati” con il concorso di tecnici russi. La cosa evidentemente
implicherebbe una escalation politico militare del conflitto al momento imprevedibile.
Sembra quindi che questa ipotesi sia per il momento piuttosto lontana.
D. –
Dalla Russia, l’accusa: Obama mentirebbe sulle armi chimiche, come Bush mentì sulle
armi di distruzione di massa di Saddam Hussein. Dobbiamo pensare che scoppi un braccio
di ferro veramente ad alto livello?
R. – Tutto questo prelude evidentemente
ad una battaglia politico-diplomatica alle Nazioni Unite in cui è altamente verosimile
che la Russia si opponga, probabilmente insieme alla Cina, a qualsiasi ipotesi che
possa condurre all’uso della forza nei confronti del regime di Damasco. Dopo quello
che è successo in Iraq nel 2003 è decisamente improbabile che una coalizione di volenterosi
a partecipazione occidentale - sia nel quadro della Nato, che al di fuori del quadro
della Nato – possa procedere. Quindi, io non credo che si vada verso un intervento
militare multinazionale al quale potrebbe prendere parte per esempio anche un Paese
come il nostro. Magari può succedere qualche cosa che coinvolga la Turchia, anche
se la Turchia in questo momento è nelle condizioni che sappiamo e ben difficilmente
potrebbe spendersi politicamente nell’aggregazione di una coalizione per andare a
risolvere in qualche modo il conflitto in Siria. Erdogan rischia veramente molto se
lo fa.
Due anni di conflitto in Siria hanno mietuto circa 93 mila vite,
6.500 delle quali bambini. Lo ha affermato ieri l’Alto Commissario Onu per i diritti
umani, nello stilare un bilancio da molti ritenuto inferiore alla realtà. Nel frattempo,
gli scontri armati nel Paese proseguono intensi, con l’aeroporto di Damasco preso
di mira nelle ultime ore dalle forze anti-Assad. Il servizio di Alessandro De Carolis:
Mentre le cancellerie
discutono di “linee rosse” superate o meno, di Conferenze di pace o di forniture di
armi agli insorti, arrivano le nuove cifre dell’Onu, forse sottostimate, a restituire
le dimensioni di una tragedia che, terribile a dirsi, da quasi un anno a questa parte
avanza alla media di 5 mila morti al mese, per un totale di 93 mila uccisioni dallo
scoppio delle ostilità nel marzo 2011. Il bilancio è dell’Alto Commissario per i Diritti
Umani, Navi Pillay, che parla di livelli di perdite di vite umane “oltraggiosamente
alti”. Lo studio dell’Onu documenta i casi di morte dal marzo 2011 all’aprile di quest’anno,
evidenziando purtroppo l’uccisione di oltre 6.500 minori. I numeri non sembrano intaccare
i piani delle due parti. Ieri, l’aeroporto di Damasco è stato centrato da due colpi
di mortaio, provocando il ferimento di un addetto e il ritardo del traffico aereo.
Ma secondo gli esperti, la battaglia cruciale sembra svolgersi a Homs – città vicina
agli Assad, e l'alta valle della Bekaa libanese, roccaforte degli Hezbollah.