Grecia: proteste per la chiusura della radio e tv pubblica, quasi tremila licenziati
Black out informativo in Grecia dopo la chiusura nella notte della televisione e radio
pubblica Ert ed il licenziamento di 2.780 dipendenti. 700 persone saranno mandate
in pensione anticipata, ma non si sa quanti saranno riassunti e quanti saranno indennizzati.
Ert, sovvenzionata dallo Stato e dal pagamento di un canone - con introiti pari a
300 milioni di euro all’anno - era composta da 5 stazioni televisive, 29 stazioni
radio, siti web, un settimanale, oltre all'Orchestra Sinfonica nazionale e di Musica
contemporanea. Un provvedimento che rientra nel piano di austerity imposto dalla Troika
– Unione Europea, Fondo Monetario Internazionale e Banca Centrale Europea - ad Atene
e che divide il governo di Samaras. L’esecutivo non esclude un ricorso alla fiducia
sul decreto in Parlamento e intanto annuncia l’apertura di una nuova tv pubblica entro
l’estate. In una nota Bruxelles chiarisce di non aver chiesto tale misura ma che
il Paese ellenico deve continuare sulla strada intrapresa. I giornalisti di tutto
il Paese hanno scelto oggi di non lavorare in segno di protesta mentre per domani
i principali sindacati hanno convocato uno sciopero generale di 24 ore contro quello
che definiscono un “colpo di stato”. Grande lo sconforto nelle parole di Dimitri
Deliolanes, corrispondente in Italia di Ert. L’intervista è di Benedetta Capelli:
R. - Grande
tristezza. Sono 30 anni che lavoro per questa emittente, una storia lunga ed una parte
importante della mia vita. Sono triste.
D. – Quali opzioni ci sono sul tavolo
per il futuro, per te e per i tuoi colleghi?
R. – Per me non credo che ci siano
possibilità, non penso che ci siano possibilità per nessuno. In Grecia siamo già quasi
al 30% dei disoccupati, quindi non c’è nessuna possibilità di riassorbimento. Chiudere
e riaprire la sede radiotelevisiva, come ha annunciato il portavoce del governo, viene
visto con grandissimo scetticismo perché non viene ritenuta una promessa seria. Quindi,
abbiamo davanti un futuro di disoccupazione.
D. – Questo ha generato anche
una serie di proteste, ad esempio l’Unione Europea Radiotelevisiva ha affermato che
i mezzi di comunicazione sono “garanzia di indipendenza, al centro di una società
democratica”. Più in generale, una chiusura di questo tipo che significato ha?
R.
– Ha il significato di togliere alla vita democratica, alla vita politica del Paese
una voce pluralista e per quanto possibile onesta e corretta. Questo vuol dire che
il governo regala il monopolio dell’informazione alle emittenti private che appartengono
tutte quante ad imprenditori i quali fanno affari con lo Stato. È una privatizzazione
dell’informazione con tutte le conseguenze negative che questo può comportare.
D.
– Eravate stati avvisati?
R. – No, nessun avviso. Ieri pomeriggio c’è stato
quest’annuncio improvviso dal portavoce del governo, Simos Kedikoglou, il quale ha
reso pubblica questa decisione del governo.
D. – Secondo quanto riferisce l’esecutivo
ci sarebbero stati un numero di dipendenti da tre ad otto volte superiore. Per la
tua esperienza puoi confermare che qualcosa non funzionava, oppure no?
R. –
Dal 2010 la televisione pubblica è in attivo: ha ridotto di mille persone i lavoratori
grazie a degli "scivoli" che sono stati sanciti in quel periodo e ha per tre volte
abbassato gli stipendi. Sicuramente sì, ci sono stati sprechi, c’erano favoritismi,
c’era clientelismo - ovviamente come succede spesso nelle emittenti pubbliche – però
è strano che il ministro, portavoce del governo e competente sui mezzi di informazione
pubblici, faccia questa denuncia dal momento che, nell’ultimo anno, era lui il responsabile
per ogni provvedimento di risanamento.
D. – C’è stata anche molta solidarietà
da parte del popolo ellenico, questa è una cosa che vi conforta?
R. – Sicuramente.
Migliaia di persone ieri sera si sono radunate fuori dalla televisione, e questo ha
di fatto impedito che la polizia facesse irruzione nella redazione per sequestrare
tutto, per chiudere, per cacciare i giornalisti, sicuramente è stato un grande conforto.
Anche adesso i colleghi continuano una trasmissione autogestita, via streaming e mi
dicono che c’è un grande successo e tantissimi contatti. Questo è un grande segno
di affetto e solidarietà.
D. – L’esecutivo ha detto più volte che era una mossa
necessaria per rispettare gli obblighi della Troika…
R. – Se risanare le finanze
della Grecia vuol dire chiude l’emittente radiotelevisiva "siamo alla frutta"!
Ma
il licenziamento di quasi tremila persone e la chiusura della tv e radio pubblica
era l’unica misura possibile per il governo greco? Benedetta Capelli ha girato
la domanda all’economista Francesco Carlà,presidente di “Finanzia World”,
società di educazione finanziaria:
R. - Non era
certamente l’unica perché il sistema pubblico greco è molto ampio e comprende molti
aspetti. Però se guardiamo all’obiettivo del governo per il 2013, che era quello di
ridurre gli impiegati pubblici di 2 mila unità entro la fine dell’anno, praticamente
l’obiettivo è stato quasi raggiunto tutto con la chiusura della tv pubblica “Ert”,
perché questa tv ha più di 2.500 dipendenti al momento. C’è da dire una cosa: la tv
pubblica greca riceve fondi, attraverso le bollette - e quindi non come si fa in Italia
con il canone da pagare - collegate a quella dell’energia elettrica, si tratta di
circa 300 milioni di euro l’anno dalle persone. Quindi i cittadini adesso non pagheranno
più il canone e quindi probabilmente, da questo punto di vista, questa misura avrà
un certo sostegno popolare.
D. - L’Unione Europea, in una nota, afferma che
Atene ha ampio margine di manovra, ma che gli obiettivi vanno rispettati. E’ un po’
un tacito consenso rispetto a quanto deciso?
R. - L’idea è proprio quella di
non ingerire più di tanto nel modo in cui Atene decide di ridurre gli impiegati pubblici,
ma di pretendere che ciò avvenga. Quindi è una posizione nota, molto nota dell’Unione
Europea.
D. - Secondo lei, il piano di risanamento greco ha in sé degli errori,
ad esempio obiettivi troppo ambiziosi e la sottostima e degli effetti recessivi?
R.
- Gli effetti recessivi stanno nel fatto che all’inizio del problema greco si è nettamente
sottostimata l’esigenza finanziaria greca. In passato dissi che 40 miliardi non sarebbero
assolutamente bastati e che, a quelli previsti, ne avrebbero dovuti aggiungere molti
di più. Oggi gli impegni che la Grecia ha preso sono molto stringenti, vincolanti:
la recessione si è già sviluppata ed è molto profonda. Quindi credo che ormai sia
molto difficile tornare indietro da questo punto di vista. E’ chiaro che sarà necessario
sempre di più, avere dei programmi di stimolo per l’economia greca e non soltanto
dismissioni, privatizzazioni e riduzioni degli impiegati pubblici.