Mons. Tomasi: gli Stati facilitino l'accesso ai farmaci per le popolazioni povere
Per garantire l’accesso ai farmaci alle popolazioni povere è necessario un approccio
basato più sulla solidarietà che solo su valutazioni di tipo normativo. È la sostanza
del recente intervento dell’arcivescovo Silvano Maria Tomasi, osservatore permanente
della Santa Sede presso l’Ufficio Onu di Ginevra, nell’ambito della 23.ma Sessione
ordinaria del Consiglio dei Diritti dell’Uomo. Il servizio di Alessandro De Carolis:
La Dichiarazione
universale dei diritti dell’uomo lo afferma con chiarezza: ogni individuo in qualsiasi
condizioni di precarietà – per mancanza di lavoro, malattia, vecchiaia o altro – ha
“diritto” alla “sicurezza”. Un diritto che si applica quindi anche a chi ha bisogno
di cure e non ha i mezzi per procurarsele. La realtà è ben diversa, purtroppo. Mons.
Tomasi lo ha rilevato quando nel suo intervento a Ginevra ha notato che al mondo vi
sono “milioni di persone” che, a causa di “realtà sociali e politiche” che ostacolano
l’accesso ai farmaci, sono private “della possibilità di godere del più alto standard
raggiungibile di salute fisica e mentale”. La posizione della Santa Sede nei confronti
del Rapporto presentato a Ginevra sul tema è stata piuttosto critica. Sei i criteri
per usufruire dei farmaci necessari sono disponibilità, accessibilità, accettabilità
e qualità, la “mia Delegazione – ha osservato mons. Tomasi – ritiene che il Rapporto
non abbia dedicato sufficiente attenzione” ad alcuni dei fattori-chiave, a cominciare
proprio dall’accesso alle medicine, che non può essere questione valutabile sono dal
punto di vista “legale”. Prima dello sguardo della legge, c’è bisogno – ha affermato
il rappresentante vaticano – di uno sguardo umano, di solidarietà in grado di favorire
“una vera giustizia distributiva che garantisca a tutti, sulla base dei bisogni oggettivi,
cure adeguate”.
Il Rapporto, ha notato poi mons. Tomasi, “fa spesso riferimento
all’obbligo degli Stati di creare le condizioni per l’accesso ai farmaci”. Ma, ha
proseguito, “mentre l’adempimento di tale responsabilità da parte dei governi è un
requisito chiaro, sarebbe stato opportuno riconoscere anche il forte impegno da parte
delle organizzazioni non governative e religiose nel fornire sia farmaci, sia una
vasta gamma di trattamenti e di misure preventive al fine di assicurare il pieno godimento
del diritto alla salute”. In questo, ha ricordato il presule, con i suoi 5.305 ospedali
e 18.179 cliniche (dati del 2012), la Chiesa fornisce un servizio capillare arrivando
ai “settori più poveri della società, molti dei quali si trovano in aree rurali e
isolate o in zone di conflitto, dove spesso i sistemi sanitari governativi non arrivano”.
Emblematico il caso dell’Africa dove secondo l’Organizzazione mondiale della sanità
dal 30 al 70% delle infrastrutture sanitarie “sono di proprietà di organizzazioni
confessionali”. Dunque, ha concluso mons. Tomasi, pur essendo “un impegno complesso”,
l’agevolazione “ottimale dell’accesso ai farmaci merita un’analisi comprensiva e il
riconoscimento di tutti i fattori che contribuiscono alla sua promozione, piuttosto
che un’analisi più limitata dei quadri legali, economici e politici”.