Turchia: nuovi scontri, il premier Erdogan parla di pazienza al limite
In Turchia, è stata una notte di tensione con nuovi scontri ad Ankara tra polizia
e manifestanti anti-governativi; 13 gli arresti ad Adana, nel Sud del Paese, per i
messaggi diffusi su twitter che avrebbero incitato alla violenza. E mentre da Gezi
Park i manifestanti fanno appello alla comunità internazionale, il premier Erdogan
ha parlato di "pazienza al limite". Emanuela Campanile ha raccolto in proposito
il commento di Germano Dottori, docente di studi strategici alla Luiss-Guido
Carli di Roma:
R. – E’ molto
difficile che Erdogan possa andare fino in fondo su questa strada perché credo che
ci siano opposizioni interne allo stesso partito di governo, l’Akp. In particolare,
se Erdogan è disponibile e intenzionato a reprimere con la forza queste proteste,
sulla lunghezza d’onda completamente opposta è il presidente Gul, che si sta proponendo
sempre più nettamente come un rivale per la guida dell’Akp. Credo che questo poi sarà
il vero risultato finale. Probabilmente, da quanto sta accadendo ad Ankara, Istanbul,
Smirne, le altri grandi città della Turchia, condurrà a un cambiamento degli equilibri
interni all’Akp. Non credo che l’Akp perderà il potere, non credo neanche che in Turchia
possa verificarsi una situazione di carattere rivoluzionario ma qualcosa cambierà
dentro il maggiore partito politico turco.
D. – Però è anche ambivalente l’atteggiamento
di Erdogan, il quale prima chiede un intervento internazionale contro il regime di
Damasco e poi cerca di dominare la situazione nel suo Paese con il "pugno di ferro"?
R.
– Io credo che tra le due cose ci sia una connessione perché, a mio avviso, sono proprio
il fallimento del tentativo di Erdogan di provocare un intervento militare, umanitario,
contro il regime di Damasco, e uno sviluppo ulteriore che si è verificato negli ultimi
mesi e cioè la riappacificazione con Israele promossa dal presidente americano Obama,
ad aver messo in crisi questo disegno di fare della Turchia il Paese leader del mondo
musulmano sunnita. A quel punto, in crisi il processo islamico in campo internazionale,
a mio avviso, Erdogan ha puntato sull’islamizzazione interna. E’ lì che ha suscitato
resistenze e proteste. Quindi, al di là dell’ambiguità e della duplicità che peraltro
sono spesso una caratteristica intrinseca della politica, io credo che ci sia un rapporto
tra i due fenomeni di questo tipo: fallimento della politica internazionale in senso
islamico, tentativo di riproporlo all’interno e forti resistenze conseguenti nell’opinione
pubblica.
D. – Un piccolo accenno storico per chiudere: dalla caduta dell’impero
ottomano secondo lei la Turchia ha avuto difficoltà a trovare una propria identità,
una nuova identità?
R. – Diciamo che la Turchia ad opera di Atatürk ha avuto
un cambio di identità che a quanto pare ha preso abbastanza in profondità al punto
che il tentativo adesso di tornare indietro, in realtà, sta suscitando resistenze
e questo è un passo veramente interessante. In qualche modo, è anche un test per la
validità o non validità delle teorie sostenute da Samuel Huntington, il quale proprio
della Turchia aveva fatto un caso emblematico della persistenza dei valori politico-religiosi,
anche rispetto al tentativo di modificare la cultura fondamentale di un Paese. Vedremo
quello che succede.