Escalation di violenza in Nigeria, Boko Haram continua a colpire
In Nigeria, a Maiduguri, teatro in passato di assalti sanguinosi del gruppo islamico
Boko Haram, alcuni sospetti militanti hanno ucciso venerdì almeno 13 persone. L’attacco,
secondo quanto riferiscono i testimoni, era mirato a colpire presunti informatori
delle forze dell’ordine. Il Paese africano da tempo è stretto nella morsa della violenza
e non si riesce ad intravedere soluzioni durature. Di quanto sta accadendo in Nigeria,
Benedetta Capelli ha parlato con Davide Matteucci, collaboratore della
rivista “Africa Affari”:
R. – Si può
dire che in Nigeria, ormai, è in atto una vera e propria insurrezione, nel Nord del
Paese, contro il governo centrale. E’ un’insurrezione che ha una matrice islamista
estremista, che vede nei Boko Haram – la setta che è nata all’inizio del 2002 – il
principale attore, ma la matrice religiosa deve essere considerata secondaria rispetto
a quella della divisione del potere e delle risorse. Questo si spiega con la particolare
divisione etnica e religiosa che caratterizza la Nigeria, ma soprattutto nella contrapposizione
che vede il Sud, molto ricco di risorse petrolifere, con un Nord invece più povero
e arido.
D. – Molti esperti chiedono non soltanto una soluzione militare, ma
anche una soluzione che affronti il grave sottosviluppo del Nord. E’ giusta questa
lettura?
R. – E’ sicuramente giusta. In questo momento, in Nigeria, l’amministrazione
centrale ha optato per una doppia strategia. Da un lato, alla fine di aprile è stato
predisposto un comitato per la ricerca di una soluzione pacifica e per l’avvio di
negoziati con i Boko Haram. Dall’altro, a metà maggio, il presidente Jonathan ha dichiarato
lo stato d’emergenza nei tre Stati settentrionali considerati le roccaforti dei Boko
Haram, inviando truppe speciali che già si sono rese protagoniste di numerosi massacri
anche tra i civili, aumentando la capacità del gruppo terrorista di reclutare consenso
sul territorio. Sotto l’altro aspetto, invece, sulla via del negoziato, si è ipotizzata
un’amnistia, un rilascio dei prigionieri che però non ha sortito ancora alcun effetto,
non si è arrivati ad un accordo tra le parti.
D. – Nigeria, Mali, Sudan: sono
tutti scenari nei quali si registrano attacchi di islamisti. C’è un filo rosso che
sta legando questa strategia, oppure è qualcosa che nasce proprio all’interno di ogni
Paese e quindi si diversifica?
R. – I due fattori si sovrappongono, in qualche
modo: la situazione del Mali è una ricaduta nel caos generato dalla caduta del regime
di Gheddafi, sfruttando il fattore endogeno della ribellione Tuareg contro il governo
centrale, che è sempre stata latente. In Nigeria, i Boko Haram hanno sicuramente un’agenda
nazionale: i loro collegamenti con al Qaeda nel Maghreb islamico sono comunque provati.
In questo discorso si possono considerare anche i gruppi terroristi presenti in Somalia.
Anche lì, il fattore scatenante è locale ma sicuramente poi tutti questi gruppi che
abbiamo nominato hanno collegamenti uno con l’altro, tant’è vero che i componenti
degli stessi Boko Haram sono stati trovati in Mali a combattere con le milizie islamiche
presenti in quel territorio. Per quanto riguarda la Nigeria, più che i Boko Haram,
va considerata l’attività di questo nuovo gruppo Ansaru: questi, a differenza dei
Boko Haram, hanno un’agenda più internazionale, sono più direttamente legati ad Al
Qaeda.