L'artigianato delle detenute di Rebibbia: un bell'esempio di reinserimento sociale
'Donne dentro e fuori' è un progetto di reinserimento nella società dedicato alle
detenute del carcere romano di Rebibbia. “Un modello prezioso come altri in Italia
che va esteso a tutto il territorio”, commenta il ministro della Giustizia Annamaria
Cancellieri intervenendo sabato alla presentazione alla Federazione Nazionale della
Stampa. Resta il problema grave del sovraffollamento carcerario e di una giustizia
che in Italia ha tempi troppo lunghi. Alla presentazione del progetto c’era per noi
Gabriella Ceraso:
La situazione
delle carceri, ribadisce il ministro della Giustizia, è drammatica ma forniremo tutti
i dati necessari. I 20mila detenuti in sovrannumero chiedono risposte, e per noi un
obbligo prima di tutto morale ma anche giuridico:
“Stiamo mettendo a punto
una strategia che riguarda un po’ tutto: dalla deflazione delle pene a nuove strutture
e alla riorganizzazione di quelle che ci sono”.
L’esempio della sezione
femminile di Rebibbia che accoglie scuole e attività lavorative, dall’agricoltura
all’allevamento, alla sartoria è uno dei pochi gioielli italiani in questo settore,
continua il ministro. Occorrono strutture adeguate e attenzione alla tipologia di
utenti, certo, ma sono questi i modelli da seguire:
“Nel mio pacchetto c’è
anche un’estensione ai massimi livelli del lavoro in carcere: tutto quello che dia
la possibilità al detenuto di uscire con una professionalità acquisita, con una cultura
acquisita … Abbiamo degli ottimi modelli. Questi modelli noi dobbiamo allargarli a
macchia d’olio”.
Tra le mura di Rebibbia, le allieve inscritte al liceo
artistico 'Enzo Rossi' sono una cinquantina di cica 30 anni: mettono in gioco la loro
voglia di emozionarsi ogni giorno attraverso l'arte. E foulard colorati presentati
oggi e in vendita alle “Coop” dalla metà del mese lo dimostrano. “Per noi – dicono
le detenute nel filmato spot del progetto – questo lavoro è una boccata di ossigeno”,
e lo stesso è per le guardie carcerarie. Abbiamo intervistato uno di loro:
R.
– Facendo lavorare le detenute, dando istruzione anche il lavoro nostro si riempie
di contenuti e in più le tensioni vengono meno. Vedere una persona che viene messa
di nuovo al mondo con una formazione, è tutt’un’altra cosa.