2013-06-06 14:41:33

Myanmar. Aung San Suu Kyi pronta a candidarsi alle presidenziali del 2015


In Myanmar, il Premio Nobel per la Pace e leader dell’opposizione Aung San Suu Kyi ha annunciato l’intenzione di candidarsi alle prossime elezioni presidenziali del 2015. Ventilata anche la possibilità di revisione della Costituzione, visto che la giunta militare, attualmente al potere, non ha bloccato l'apertura di un processo esplorativo in tal senso. Il servizio di Massimiliano Menichetti:RealAudioMP3

E’ dal World Economic Forum di Naypyidaw, capitale del Myanmar, che la leader dell’opposizione, Aung San Suu Kyi, ha confermato che sarà in lizza per le presidenziali del 2015. “Desidero correre per la presidenza. Se avessi detto che non lo volevo, non sarei stata onesta", ha detto sorridente davanti ai delegati. Poi, l’auspicio per il “cambiamento della Costituzione”. La decisione della popolare leader della Lega Nazionale per la Democrazia era attesa. Quando scadrà il mandato dell'attuale presidente, Thein Sein, il Premio Nobel per la Pace avrà 70 anni. Dopo aver boicottato il voto del 2010, il partito di Aung Suu Kyi ha conquistato 43 seggi nelle elezioni suppletive dell'aprile 2012, esito che ha consentito alla leader di entrare in parlamento. Una svolta avvenuta dopo 15 anni di detenzione decisi dalla Giunta militare, che ha progressivamente aperto al processo di democratizzazione. In questa direzione, anche la decisione delle divise, tutt’ora la potere nel Paese, di non porre il veto sul cambiamento della Carta costituzionale imposta nel 2008. Lo scorso marzo, infatti, il parlamento ha approvato l'apertura di un processo esplorativo di revisione della Carta fondamentale, anche grazie al sostegno dei militari che occupano di diritto un quarto dei seggi.

Massimiliano Menichetti ha raccolto il commento di Maria Teresa Sivieri, esperta dell’area e autrice del libro “Viaggio in Myanmar. La Birmania dal feudalesimo alla dittatura attraverso il colonialismo” edito da Cleup:RealAudioMP3

R. – Penso che Aung San Suu Kyi abbia agito bene. Lei ha 43 seggi in parlamento, mentre il partito del governo ne ha più 400. Il 25% dei seggi sono occupati dai militari, che non sono stati eletti ma nominati dal capo dello Stato Maggiore. Però, se le urne saranno libere, non ci saranno brogli, tutti sono convinti che lei vincerà.

D. – Comunque, una parabola straordinaria quella di Aung San Suu Kyi: la Giunta l’ha tenuta 15 anni agli arresti, poi l’apertura al processo democratico…

R. – Questo è un segnale sicuramente positivo, indubbiamente la dittatura ha ceduto perché ha intuito i vantaggi e perché non poteva mettersi contro tutto il mondo, ormai la cosa durava da molto tempo. Aung San Suu Kyi è stata veramente straordinaria, se pensiamo che non è riuscita neppure ad andare al funerale di suo marito, che ai figli non era permesso di incontrarla… Ha sofferto veramente tanto questa donna, che è stata aiutata – come diceva lei stessa – dal suo credo e da quello che aveva fatto suo padre, ucciso quando lei aveva solamente due anni. Il padre aveva condotto il Paese verso la democrazia, dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale, e Aung San Suu Kyi non lo ha mai dimenticato e si è impegnata in prima persona nella stessa direzione.

D. – Quali sono i problemi principali che sta affrontando il Paese?

R. – Prima di tutto, quello delle etnie, che sono tantissime e sono in lotta fra di loro. Poi i problemi inerenti alla povertà, perché il Myanmar è un Paese povero, ma ricchissimo di risorse naturali – gas, pietre prezioso, oro – e si trova incastonato fra l’India, la Cina e il Sudest Asiatico, nel cuore della regione più dinamica dell’economia mondiale.

D. – Quindi, deve trovare un po’ anche la strada per riuscire ad affrancarsi e sfruttare le proprie risorse?

R. – Si, ma senza essere sfruttato ancora di più di quanto sia stato sfruttato finora dalla Cina e dall’India.

D. – Ma, secondo lei, qual è il volto oggi del Myanmar?

R. – Adesso c’è più libertà, però in certe aree, nello Stato Shan, per esempio, al Nord, o nello Stato Kachin e quelli confinanti con la Thailandia, i problemi sono ancora tanti. Ci sono i contadini che chiedono che vengano restituiti i terreni che gli erano stati tolti. Ci sono i proprietari delle fabbriche che chiedono, anche loro, quello che era stato confiscato dai militari. Non dobbiamo dimenticare i cinesi, che stanno operando con grossissimi progetti, firmati e accordati dai militari nel passato, ma senza una reale trasparenza.







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