Cina-Usa. Attesa per il bilaterale tra Xi Jinping e Obama
Cresce l’attesa per il vertice bilaterale tra il presidente cinese, Xi Jinping, e
il capo della Casa Bianca, Barack Obama, oggi in California. Incontro definito informale,
che chiude il tour americano dell’uomo forte di Pechino, dopo le tappe nei Paesi latini
e gli importanti accordi di cooperazione e sviluppo siglati, ad esempio, con il Messico
e il Costa Rica. Tante le questioni sul tavolo, come conferma Roberto Peruzzi,
docente di Relazioni internazionali alla Ca’ Foscari di Venezia ed esperto di Cina.
Cecilia Seppia lo ha intervistato:
R. - Le questioni
concrete sul tavolo riguardano soprattutto la crescita esponenziale degli investimenti
cinesi negli Stati Uniti, cosa che da un lato è molto utile perché sostiene evidentemente
l’economia americana, ma che dall’altro lato richiama il timore dell’invasione asiatica,
così come era stato con i giapponesi negli Anni '80. Dal punto di vista politico,
non credo che affronteranno la questione delle isole contese nel Mar della Cina. Mentre
per quanto riguarda la questione coreana, credo che l’affronteranno perché in questo
momento c’è un evidente convergenza di punti di vista. Sulla Siria, credo non ci siano
grandi variazioni, nel senso che la posizione cinese è sempre stata la stessa - che
si trattasse di Siria, di Iran - cioè nessun intervento unilaterale da parte di Stati
terzi in questioni interne. Se l’intervento ci deve essere, deve essere mediato attraverso
le Nazioni Unite.
D. – Xi Jinping ha iniziato questo viaggio dai Paesi latinoamericani
dove, tra l’altro, sono stati siglati diversi accordi di cooperazione. Qui, senz’altro
si palesano gli interessi economici della Cina …
R. – Sì, ma anche le debolezze
degli Stati Uniti. Il vantaggio che hanno i cinesi rispetto agli americani è che dispongono
di una consistente liquidità e quindi possono investire direttamente o possono intervenire
a sostenere il debito di alcuni Stati, comprandone appunto i titoli di Stato. L’altro
vantaggio si trova nel modo di stare sui mercati, nel senso che le condizioni che
pongono i cinesi per i loro prestiti o investimenti sono estremamente più vantaggiose
rispetto a quelli offerti dagli Stati Uniti, dagli Stati europei o dal Fondo monetario
internazionale, in quanto la Cina non chiede contropartite sul piano politico o particolari
programmi economici: presta soldi quindi, ma non chiede politiche di austerità in
cambio.
D. – Possiamo dire che questo viaggio ha una duplice connotazione:
da un lato, sembrano un po’ le prove generali della Cina per divenire a tutti gli
effetti una potenza globale e quindi porsi così sulla scena internazionale. Dall’altro,
c'è la volontà di rafforzare i rapporti bilaterali con gli Stati Uniti. Possiamo parlare
di continuità o di cambiamento rispetto al predecessore di Xi – Jinping, ovvero Hu
Jintao…
R. – Sicuramente, la Cina sta cercando di rafforzare i rapporti bilaterali.
La questione della prospettiva globale preoccupa molto i cinesi, nel senso che loro
non riescono ancora ad elaborare una vera politica globale. Rispetto alla continuità
invece, in questo momento penso ci sia ancora una situazione di incertezza su quali
siano le linee future della politica estera cinese. È una linea anche segnata da timori,
rispetto a questa futura assunzione di un rilievo globale della Cina.
D. –
Sul tavolo ci sarà anche la questione dei diritti umani. Ieri, il presidente cinese
ha ribadito che la priorità del governo è abbattere la piaga della povertà e della
fame. Su questo in fondo c’è convergenza anche con la politica di Obama?
R.
– Il tema della lotta alla povertà, dal punto di vista del governo cinese, ha due
valenze. Una è chiaramente quella propagandistica, vale a dire: “Noi facciamo tutta
una serie di cose che magari in ambito internazionale vengono contestate, ma questo
perché noi abbiamo ancora il problema della povertà e la nostra priorità è combattere
questo problema”. L’altro aspetto è il fatto che una delle auto-rappresentazioni della
Cina, rispetto alla propria politica estera, è quella di mostrarsi non come il primo,
o uno dei primi, Paesi industriali e sviluppati al mondo, ma di presentarsi come il
primo dei Paesi in via di sviluppo, quindi il primo dei Paesi poveri, il che oggi
è chiaramente un paradosso.