Hamdallah nuovo premier dell’Anp, per Hamas atto illegittimo
Gli Stati Uniti salutano positivamente la nomina di Rami Hamdallah alla guida dell'esecutivo
dell'Autorità Nazionale Palestinese, decisa domenica dal presidente dell’Anp e leader
di Fatah, Abu Mazen. Il segretario di Stato, John Kerry, in un messaggio allo stesso
Hamdallah parla di ''opportunità per procedere verso la soluzione dei due Stati e
la realizzazione delle aspirazioni dei palestinesi''. Negativa la reazione di Hamas
che, per voce di Fawzi Barhum, ha definito questa scelta ''illegittima ed illegale,
che non contribuirà a sanare i dissensi con al-Fatah”. Hamas insiste piuttosto per
la costituzione di un ''governo nazionale di tecnocrati''. In questo scenario il nuovo
premier, che ha sostituito il contestato Salam Fayyad, prevede, per ora, di restare
in carica tre mesi “favorendo la riconciliazione”. Rami Hamdallah, 55 anni, presidente
dell'Università a-Najah di Nablus, in Cisgiordania, ha ricoperto importanti ruoli
in ambienti accademici ed economici e viene definito "moderato". Massimiliano Menichetti
ha raccolto il commento di Roberto Totoli, professore di islamistica all’Università
Orientale di Napoli:
R. – Sul fronte
interno la reazione di Hamas è comprensibile perché tre mesi fa Abu Mazen aveva promesso
una sorta di governo di unità nazionale. Quindi, questa scelta, l’ultimo giorno utile
della nomina del nuovo capo del governo, in qualche modo, scavalca le promesse. E
calcolando che questo nuovo premier incaricato dovrà formare il governo e quindi anche,
probabilmente, rimuovere l’amministrazione nella Striscia di Gaza, ecco che Hamas
si sente in qualche modo scavalcato e si ripropongono le vecchie contrapposizioni.
D.
– Cauto ottimismo dagli Stati Uniti… Comunque le cose cambiano sul fronte internazionale?
R.
– Sul fronte esterno, certo Fayyad con le sue ricette economiche era molto apprezzato
all’estero, in Europa e negli Stati Uniti, però era criticato all’interno soprattutto
da Hamas e da Fatah. Quindi, in qualche modo, probabilmente, l’amministrazione americana
considera che questa nuova figura, non iscritta ad alcuna formazione dell’Olp, possa
scavalcare la situazione di stallo di questi ultimi tempi. Certo che scavalcando Hamas
si ripropone quella logica di contrapposizione che in qualche modo blocca lo schieramento
palestinese.
D. – Le dimissioni annunciate di Fayyad facevano aprire speranze
anche di unità tra Fatah e Hamas; adesso è del tutto naufragata questa speranza?
R.
- Diciamo che la reazione di Hamas è quanto mai logica sentendosi scavalcato. Però
la rimozione di Fayyad era considerata anche da loro essenziale. Quindi, può darsi
che sia una reazione per trattare meglio la formazione del nuovo governo. Si vedrà
nelle prossime ore se si tratta di un fondamento definitivo nella prospettiva di avere
un governo di unità nazionale o quantomeno condiviso.
D. – I passi verso i
due Stati e le cosiddette aspirazioni dei palestinesi sono comunque molto lenti, è
un processo molto difficile. A che punto siamo nella costruzione di una vera pace
nell’area?
R. – Lo dice la storia stessa. E’ da più di 60 anni che non si riesce
a trovare una via e questi piccoli movimenti e spostamenti eludono tutta una serie
di problemi reali: la compattezza del fronte palestinese all’interno, i rapporti con
Israele e l’espansione degli insediamenti palestinesi. Questi sono i veri problemi
più che la nomina di un ministro, o di un’altra figura, o di amministratore nella
Striscia di Gaza.
D. - Come si sblocca la situazione?
R. - Con un intervento
forte, definitivo degli Stati Uniti nella regione e con la decisione di tracciare
confini sul campo che diano origine finalmente a due Stati che seguano le direttive
di decenni fa dell’Onu e che, in qualche modo, rassicurino la sicurezza di Israele,
i diritti all’esistenza del popolo palestinese.
D. – Quando dice “un intervento
degli Stati Uniti” che cosa intende esattamente?
R. – Intendo che gli Stati
Uniti hanno capacità, anche se con l’amministrazione Obama, Netanyahu ha mostrato
un’indipendenza anche oltre a quanto fatto dai suoi predecessori. Gli Stati Uniti
possono veramente farsi garanti della sicurezza e avere i mezzi per contribuire alla
costruzione di uno Stato palestinese come unica potenza mondiale oggi che si trova
anche nella regione e in tutto il mondo.