2013-06-03 13:52:19

Hamdallah nuovo premier dell’Anp, per Hamas atto illegittimo


Gli Stati Uniti salutano positivamente la nomina di Rami Hamdallah alla guida dell'esecutivo dell'Autorità Nazionale Palestinese, decisa domenica dal presidente dell’Anp e leader di Fatah, Abu Mazen. Il segretario di Stato, John Kerry, in un messaggio allo stesso Hamdallah parla di ''opportunità per procedere verso la soluzione dei due Stati e la realizzazione delle aspirazioni dei palestinesi''. Negativa la reazione di Hamas che, per voce di Fawzi Barhum, ha definito questa scelta ''illegittima ed illegale, che non contribuirà a sanare i dissensi con al-Fatah”. Hamas insiste piuttosto per la costituzione di un ''governo nazionale di tecnocrati''. In questo scenario il nuovo premier, che ha sostituito il contestato Salam Fayyad, prevede, per ora, di restare in carica tre mesi “favorendo la riconciliazione”. Rami Hamdallah, 55 anni, presidente dell'Università a-Najah di Nablus, in Cisgiordania, ha ricoperto importanti ruoli in ambienti accademici ed economici e viene definito "moderato". Massimiliano Menichetti ha raccolto il commento di Roberto Totoli, professore di islamistica all’Università Orientale di Napoli:RealAudioMP3

R. – Sul fronte interno la reazione di Hamas è comprensibile perché tre mesi fa Abu Mazen aveva promesso una sorta di governo di unità nazionale. Quindi, questa scelta, l’ultimo giorno utile della nomina del nuovo capo del governo, in qualche modo, scavalca le promesse. E calcolando che questo nuovo premier incaricato dovrà formare il governo e quindi anche, probabilmente, rimuovere l’amministrazione nella Striscia di Gaza, ecco che Hamas si sente in qualche modo scavalcato e si ripropongono le vecchie contrapposizioni.

D. – Cauto ottimismo dagli Stati Uniti… Comunque le cose cambiano sul fronte internazionale?

R. – Sul fronte esterno, certo Fayyad con le sue ricette economiche era molto apprezzato all’estero, in Europa e negli Stati Uniti, però era criticato all’interno soprattutto da Hamas e da Fatah. Quindi, in qualche modo, probabilmente, l’amministrazione americana considera che questa nuova figura, non iscritta ad alcuna formazione dell’Olp, possa scavalcare la situazione di stallo di questi ultimi tempi. Certo che scavalcando Hamas si ripropone quella logica di contrapposizione che in qualche modo blocca lo schieramento palestinese.

D. – Le dimissioni annunciate di Fayyad facevano aprire speranze anche di unità tra Fatah e Hamas; adesso è del tutto naufragata questa speranza?

R. - Diciamo che la reazione di Hamas è quanto mai logica sentendosi scavalcato. Però la rimozione di Fayyad era considerata anche da loro essenziale. Quindi, può darsi che sia una reazione per trattare meglio la formazione del nuovo governo. Si vedrà nelle prossime ore se si tratta di un fondamento definitivo nella prospettiva di avere un governo di unità nazionale o quantomeno condiviso.

D. – I passi verso i due Stati e le cosiddette aspirazioni dei palestinesi sono comunque molto lenti, è un processo molto difficile. A che punto siamo nella costruzione di una vera pace nell’area?

R. – Lo dice la storia stessa. E’ da più di 60 anni che non si riesce a trovare una via e questi piccoli movimenti e spostamenti eludono tutta una serie di problemi reali: la compattezza del fronte palestinese all’interno, i rapporti con Israele e l’espansione degli insediamenti palestinesi. Questi sono i veri problemi più che la nomina di un ministro, o di un’altra figura, o di amministratore nella Striscia di Gaza.

D. - Come si sblocca la situazione?

R. - Con un intervento forte, definitivo degli Stati Uniti nella regione e con la decisione di tracciare confini sul campo che diano origine finalmente a due Stati che seguano le direttive di decenni fa dell’Onu e che, in qualche modo, rassicurino la sicurezza di Israele, i diritti all’esistenza del popolo palestinese.

D. – Quando dice “un intervento degli Stati Uniti” che cosa intende esattamente?

R. – Intendo che gli Stati Uniti hanno capacità, anche se con l’amministrazione Obama, Netanyahu ha mostrato un’indipendenza anche oltre a quanto fatto dai suoi predecessori. Gli Stati Uniti possono veramente farsi garanti della sicurezza e avere i mezzi per contribuire alla costruzione di uno Stato palestinese come unica potenza mondiale oggi che si trova anche nella regione e in tutto il mondo.


Ultimo aggiornamento: 4 giugno







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