Myanmar: accordo di pace del governo con i ribelli Kachin
Va avanti il processo di democratizzazione in Myanmar. Il governo centrale e i ribelli
Kachin, attivi nel nord del Paese, hanno raggiunto nei giorni scorsi l’accordo per
un cessate il fuoco provvisorio. L’intesa fa ben sperare in una stabilizzazione dei
rapporti anche con altre etnie, con le quali l’ex regime militare era in conflitto.
Anche la leader dell’opposizione, Aung San Suu Kyi, si è dichiarata favorevole a una
fine delle tensioni. I cattolici Kachin hanno espresso, a loro volta, un cauto ottimismo
per l’intesa. Ma si può parlare realmente di svolta positiva? Giancarlo La Vella
lo ha chiesto a Stefano Vecchia, esperto di Estremo Oriente:
R. – Indubbiamente
sì. Teniamo presente che le milizie del Kachin sono quelle più forti tra quelle che
sono ancora nella condizione di guerriglia aperta con il governo. Quindi, certamente
è un accordo importante. Bisognerà vedere, però, se la tregua reggerà: questo è particolarmente
decisivo in questo momento in cui il Paese è appunto avviato verso una democrazia
- ancora estremamente parziale - ed in cui purtroppo, in molte zone, si registrano
anche scontri tra i buddisti e i birmani di fede musulmana. Questo è un ulteriore
elemento che prima non si era riscontrato e che purtroppo in questi ultimi mesi invece
è tornato alla ribalta; tant’è vero che anche Aung San Suu Kyi, leader storico dell’opposizione,
ha preso una posizione di condanna rispetto alle violenze di sostegno al dialogo in
particolare con le etnie finora tenute al di fuori di questo processo di liberalizzazione
e di democratizzazione.
D. – Quali sono le istanze di queste etnie nei confronti
del governo ex birmano?
R. – Certamente di maggiore autonomia, ma soprattutto
di maggiore sicurezza. Teniamo presente che le milizie etniche hanno combattuto per
decenni contro l’esercito birmano, che ha sempre cercato in qualche modo di sottometterle,
riuscendoci soltanto in parte; anni fa il governo è riuscito a concludere degli accordi
separati con alcune di queste e con altre invece la tensione continuava con periodici
scoppi di violenza. Le etnie hanno subito pesantemente il predominio birmano e hanno
vissuto innumerevoli episodi di violenza. La repressione è sempre stata estremamente
brutale. Quindi, già il fatto che il dialogo si sia attivato in sé è positivo.
D.
– Qual è l’atteggiamento del governo del Myanmar? E’ un atteggiamento di inclusione
o, comunque, rimane di confronto?
R. – In questo momento, il tentativo è quello
dell’inclusione. Teniamo presente che il Paese si è trasformato da una dittatura sostanzialmente
militare ad una repubblica federale con un parlamento, un governo, quindi diciamo
con una parvenza di democrazia. Il governo funziona, il parlamento sta funzionando
e nel parlamento sono anche rappresentate le etnie, se pur con personaggi chiaramente
vicini all’esecutivo. Da sottolineare che il governo stesso poi è erede del regime
militare. È un processo lento che però si è avviato, che probabilmente prenderà slancio
ancor di più in vista delle elezioni del 2015, quando Aung San Suu Kyi potrebbe addirittura
diventare presidente. Questo sarà veramente il momento della svolta per la democrazia
birmana. Per il momento il tentativo è quello di includere le etnie in un dialogo.