Pochi investimenti per la Somalia dopo la Conferenza di Nairobi
Le attese erano alte nei confronti della Conferenza sulla ricostruzione e gli investimenti
in Somalia che si è svolta mercoledì a Nairobi. Ma i risultati, a parte le promesse
dei donor, sono stati modesti, nonostante la propaganda del governo di Mogadiscio
che, godendo del sostegno internazionale, crede nel riscatto dopo decenni di guerra
civile. Il servizio di Giulio Albanese:
Le questioni
sul tappeto sono molte: anzitutto vi è l’emergenza umanitaria che esige un maggiore
sforzo sia da parte dei donor internazionali, come anche attraverso le organizzazioni
non governative (Ong). Ma perché gli aiuti siano viabili occorre garantire una sicurezza
che al momento, in molte zone del Paese, è un puro miraggio. Inoltre, servono investimenti
stranieri per realizzare infrastrutture, considerando che la guerra ha fatto “tabula
rasa” di tutto. Due sono gli attori che vorrebbero dalla Somalia un ritorno economico,
controllando soprattutto il commercio, avendo peraltro speso denari per le operazioni
militari. Sono il Kenya e l’Etiopia. Ma in Somalia c’è anche petrolio, gas e uranio.
Fonti energetiche a cui Stati Uniti, Russia e Cina guardano con bramosia. Un business
di tutto rispetto, possibile però solo se scoppierà davvero la pace.
Sull’emergenza
umanitaria nel Paese, ancora irrisolta, Davide Maggiore ha intervistato il
segretario generale della Ong Intersos, Marco Rotelli:
R. – E’ una
situazione ancora gravissima. La Somalia è appena uscita da una grave carestia che
non faceva altro che accavallarsi a 20 anni di conflitto e di anarchia. La situazione
è molto grave, soprattutto per le fasce più giovani: 250 mila bambini in Somalia oggi
sono affetti da malnutrizione acuta e quindi hanno bisogno di aiuti urgenti. E’ una
situazione che è difficile in quasi tutto il territorio del centro-sud. E’ chiaro
che l’accesso ai villaggi è in via di miglioramento, ma è ancora molto complicato:
quind,i l’urgenza è proprio di raggiungere quei villaggi che per un po’ di tempo non
sono stati assistiti in maniera adeguata, proprio per blocchi dovuti alle condizioni
di sicurezza.
D. – Fondamentali sono anche le risorse finanziarie: in questo
senso, l’ultima Conferenza di Londra ha visto degli stanziamenti importanti. Possono
essere un inizio per cominciare queste operazioni?
R. – Noi crediamo che direzionare
parte dell’aiuto pubblico agli aiuti umanitari in Somalia, in questo momento, sia
assolutamente indispensabile. E’ una forma che garantisce le organizzazioni umanitarie
in quella loro funzione di supporto immediato e urgente alla società somala. E’ altrettanto
importante – non dobbiamo dimenticarlo – creare, attraverso anche finanziamenti adeguati,
quelle condizioni strutturali per il costituendo governo così da rafforzarlo e soprattutto
consentirgli di diventare più capillare nell’esercizio delle proprie funzioni. Non
concentriamoci quindi su Mogadiscio, ma cerchiamo di avere una capacità di controllo
delle aeree periferiche, altrimenti perderemmo molto presto la partita.
D.
– Un’altra questione molto importante è quella dei rifugiati e degli sfollati interni:
sono ancora un grande numero. Quanto questo può incidere sulle capacità della società
civile somala di svolgere un ruolo nella ricostruzione necessaria del Paese?
R.
– Il flusso è in entrambe le direzioni. Per alcune persone che continuano ad uscire,
ci sono altrettante persone che decidono di rientrare dallo stato di rifugiato, dai
Paesi ospitanti, verso il territorio somalo. E’ un Paese che ancora conta quasi tre
milioni tra rifugiati e sfollati interni. Quindi, una massa enorme di persone, rapportata
alla popolazione totale del Paese, che non è nei loro villaggi di origine. Questo
determina instabilità costante per il Paese. E’ importante capire anche una cosa:
il famoso "boom" economico di ricostruzione – della capitale in particolare – sta
provocando degli sfollamenti delle persone che erano arrivate da altre città, da altri
villaggi della Somalia per cercare rifugio a Mogadiscio e che, per lasciare in qualche
maniera spazio a questo boom economico, devono essere cacciate. Un’attenzione particolare
all’ordine con il quale i processi di ricostruzione vengono portati avanti in un contesto
così disordinato come la Somalia è fondamentale per non creare ancora più sofferenze
in chi – da anni – ha dovuto abbandonare, per forza e non per scelta, il proprio luogo
di origine.