Missili russi a Damasco: sale la tensione tra Israele e Siria
Resta sempre alta la tensione tra Israele e Siria, all'indomani dell'annuncio di Mosca
che ha confermato la fornitura dei sistemi missilistici antiaerei S-300 a Damasco.
Israele fa sapere che agirà in modo da prevenire che i missili russi diventino operativi
sul suolo siriano. E c’è qualche esponente politico che parla anche di minacce di
attacchi chimici dalla Siria a Israele. Da parte sua, il ministro degli Esteri siriano,
Muallim, afferma che “se Israele attaccherà nuovamente la Siria la rappresaglia sarà
immediata”. Fausta Speranza ha parlato del braccio di ferro in atto nell’area
con Arduino Paniccia, docente di Studi strategici all’Università di Trieste:
R. – Sono delle
schermaglie, perché naturalmente ad Israele non può far piacere che siano iniziate
le consegne dei primi missili S300 da parte della Russia ad Assad. Questa è sicuramente
una situazione allarmante. Il braccio di ferro vero, però, continua ad essere quello
riguardante l’opposizione siriana, che sta cercando – sembra – in tutti i modi di
non fare effettuare la Conferenza Ginevra 2 di pace, progettata da Kerry e dal ministro
Lavrov, e coloro che invece cercano di ricondurre la questione sotto l’egida dell’Onu
e trovare un tavolino negoziale politico. In questo momento, quindi, credo che la
questione principale sia cercare di uscire dalla logica militare, dalla logica della
guerra - i cui effetti terribili abbiamo già visto - per cercare di tornare ad una
logica negoziale diplomatica concertata.
D. – Si può dire però che si sono
creati diversi livelli d’impasse diplomatica...
R. – Questa è la constatazione
più giusta, perché gli stessi che hanno convocato la Conferenza, per esempio gli Stati
Uniti appoggiati dall’Europa, in realtà sulla vicenda siriana negli ultimi tempi si
sono spaccati. Gli Stati Uniti hanno in seno almeno un paio di anime: coloro che vorrebbero
un intervento forte, di aiuto all’opposizione siriana, per tentare di dare la spallata
militare sul campo invece che andare a trattare con Assad, e una componente molto
forte, che ha incontrato alcuni rappresentanti dell’opposizione. Questa corrente è
molto seguita anche in Turchia e ha come rappresentanti in Europa la Gran Bretagna.
Quindi anche l’Europa si è poi presentata spaccata sulla vicenda della fine dell’embargo
e dell’inizio dei rifornimenti di armi all’opposizione. La realtà, quindi, è che ci
sono numerose fratture all’interno della posizione occidentale, americana, europea
e anche dell’alleato turco, mentre, invece, la Federazione russa sta cercando di presentare
la propria coalizione - con l’Iran, con la Cina e con gli altri Paesi centro-asiatici,
che in qualche modo la stanno appoggiando, compreso poi alla fine il braccio armato
di hezbollah - con una posizione molto più coesa, che vuole la pace, vuole andare
alla trattativa, ma mostra i muscoli e se occorre anche gli artigli.
D. –
L’Italia è tra i Paesi europei più importanti esposti sul Mediterraneo, potrebbe avere
un ruolo nella crisi siriana?
R. – L’Italia ha già comunque preso una buona
decisione, quando ha deciso di non vendere le armi in territorio siriano. Secondo
me, però, non basta: noi dobbiamo cercare di aiutare la Conferenza che, come si è
capito, vedo come una delle pochissime, forse l’unica strada, per uscire dal massacro
in Siria e, addirittura, con uno scontro, come si ipotizzava, con Israele, o l’uso
di armi di distruzione di massa. Tutto questo è alle porte. Solo Ginevra 2 può cercare
di fermare questa strada, lasciando – a mio parere – perdere deliberazioni come la
no-fly zone e altre cose che, nel tempo, nei decenni precedenti, hanno dimostrato
tutta la loro debolezza. Prendiamo, uno per tutti, il caso iracheno. Mi concentrerei
invece nel tentativo di aprire un tavolino pre-negoziale, cercando di smussare gli
angoli, prima di arrivare direttamente alla Conferenza ancora con tutto aperto e,
quindi, in una situazione molto più difficile.