"Lo Spiraglio", terza edizione del Filmfestival sul disagio psichico
In corso a Roma la terza edizione del Filmfestival della salute mentale “Lo Spiraglio”.
In concorso, otto lungometraggi e una decina di cortometraggi che portano sullo schermo
storie d’amore, viaggi per mondi sconosciuti e profonde riflessioni sul disagio psichico.
Al microfono di Elisa Sartarelli, il direttore scientifico Federico Russo:
R. – Questo
è un Festival tematico che nasce dall’idea di dare visibilità a tante opere che trattano
il tema della salute mentale, con la capacità di avvicinare il grande pubblico a temi
da sempre considerati un po’ inquietanti e ostici. Abbiamo tanti film in concorso.
Ci sono otto lungometraggi che spaziano da focus sul tema della malattia mentale,
nella sua prospettiva storica, a storie dello sviluppo della sofferenza e della malattia,
ma anche della speranza e della riscossa nella fase dell’adolescenza, come in “Ulidi,
piccola mia”. Poi, addirittura, abbiamo storie che parlano dei grandi calciatori che
da ragazzini sono grandi promesse che poi però non riescono a sfondare e rimangono
un po’ incastrati dentro un mito mai raggiunto. Ancora, abbiamo cortometraggi in cui
si spazia da temi che affrontano l’incontro con la sofferenza, ma anche temi più simbolici
che trattano del mondo dell’infanzia e dei suoi angoli e risvolti tra la malattia,
il disagio, e la ricerca di una propria identità e delle proprie soluzioni per affrontare
la vita.
D. – Alcuni film presenti al Festival mostrano indagini effettuate
su dichiarate patologie mentali, quali?
R. –“Il sonno della ragione”
insieme a “Il canto delle sirene” e a “Muyeye”sono i lungometraggi che vanno
più direttamente nel campo della salute mentale. Questo Festival nasce dentro un servizio
di salute mentale pubblico per vocazione, un po’ per priorità: noi ci occupiamo di
gravi disturbi di personalità, il famoso disturbo bipolare, la vecchia mania depressiva,
le oscillazioni fra stati maniacali e depressivi e la schizofrenia, che è un po’ una
patologia stereotipo a cui facciamo riferimento quando pensiamo alla follia. Quindi,
patologie importanti che determinano grosse alterazioni del funzionamento ma rispetto
alle quali si possono creare percorsi virtuosi che noi pensiamo possano portare in
tante situazioni a eccellenti recuperi finanche a guarigioni.
D. – La paura
della malattia mentale dell’altro ci spaventa, ci fa sentire in pericolo, mentre noi
stessi siamo spesso vittime di un disagio interiore quotidiano benché leggero, magari
senza rendercene conto…
R. – Direi che il problema è che quella sorta di barriera
prima concreta, oggi più invisibile, che divide il mondo dei sani dal mondo dei malati
mentali, in questi ultimi anni, è definitivamente crollata. Prima, in Italia, siamo
riusciti ad abbattere i muri reali, quelli del manicomio ma ci sono voluti altri 30
anni per rivedere profondamente nella società e anche nella scienza i concetti e le
barriere, i limiti, che separano salute e malattia. L’idea di tenersi alla larga da
questi temi è in fondo, più che la paura dell’altro, la paura di se stessi. Questo
è proprio uno dei motivi cardine, una delle cose che ci ha mosso e che ci ha dato
la forza di continuare questo Festival. Noi pensiamo che sia una sorta di evento che
avvicina alle nostre vicende più interne e che in qualche modo ci permette di guardare
con un po’ più di tenerezza i nostri stessi disagi e le nostre stesse fragilità così
come quelle dell’altro.