Sisma Emilia un anno dopo. Imprenditori: serve aiuto per rialzare la nostra regione
Il 29 maggio dello scorso anno, i sismografi registravano il secondo giorno di forti
scosse in Emilia. La regione era già stata prostrata da quelle di pochi giorni prima,
il 20. Ai sette precedenti morti se ne aggiungono altri venti, centinaia di feriti
e danni incalcolabili al patrimonio artistico, alle costruzioni rurali ed industriali.
Gloria Trevisani dal 1989 guida la "CREA-SI", azienda tutta al femminile che
realizza capi da collezione per le grandi firme della moda. Il capannone della sua
impresa, a Rovereto sulla Secchia, in provincia di Modena, è crollato per il sisma,
fortunatamente senza vittime, ma provocando un danno economico di circa 200 mila euro.
Dopo soli 40 giorni, la Trevisani è riuscita a riaprire l’impresa a Carpi, sempre
in provincia di Modena, e a ridare lavoro alle sue dipendenti, grazie anche al sostegno
dell’organizzazione Cesvi. Francesca Sabatinelli l’ha intervistata:
R. – Io ancora
oggi, se ripercorro quella mattina, ricordo momento per momento, secondo per secondo,
tutto quello che è successo: questa cosa che veramente ha cambiato la vita di tanti,
oltre ad aver cambiato il nostro modo di vedere le cose. Se ritorno indietro di un
anno, ricordo benissimo tutte le sensazioni, le parole, le sirene. Io credo che questa
sia una cosa che nessuno si scorderà più.
D. – E ricorda quindi anche quale
fu la sua immediata reazione?
R. – Quando ho visto, mi emoziono ancora a dirlo,
la parete crollata del mio capannone, nel momento in cui mi sono trovata lì davanti,
dove tutto era desolato e con tutta questa paura, ho detto: “No, no, non può essere
questo che ci ferma!”. E’ stato l’inizio della reazione. Da quel momento, grazie anche
alla solidarietà che ho sentito – le persone, fornitori, clienti, che mi chiamavano,
i miei collaboratori che mi chiedevano: “Cosa facciamo, cosa hai deciso, cosa fai…”
– questo mi ha fatto trovare la forza di dire: "No, non può essere una cosa così a
fermarci". Avevo la responsabilità di tante persone, la responsabilità del mio lavoro,
della mia vita e da lì è scattato questo meccanismo. Il giorno dopo, ho chiamato tutti
i clienti dicendo: “Noi stiamo tutti bene, adesso cercheremo uno spazio, cercheremo
di recuperare tutte le vostre materie prime”. Da lì, è cominciata la nostra ripartenza.
D. – Il suo racconto possiamo dire che è il simbolo di quella forza, di quella
laboriosità, si ripete ormai da un anno, tipica e propria dell’Emilia, perché tutti
gli imprenditori, o moltissimi, hanno reagito esattamente come lei…
R. – Sì.
Ho tanti colleghi che hanno fatto esattamente le stesse cose che ho fatto io e che
magari erano messi anche in condizioni peggiori delle mie, avevano avuto ancora più
danni, e hanno avuto lo stesso tipo di reazione. Questa è, probabilmente, una reazione
tipica, della nostra terra, ma anche di chi si trova davanti ad un problema che è
così tanto grande e così tanto inaspettato. Credo faccia parte proprio del nostro
modo di essere e di dire: no, questo non è possibile, io devo farcela, devo farcela
per me, per i miei dipendenti, per la mia terra. Quello che ho fatto io è lo specchio
di quello che hanno fatto tanti.
D. – Rovereto adesso in che condizioni è?
R.
– Rovereto è in uno stato veramente desolante. La zona artigianale dove si trovava
il mio capannone ora è morta, nel senso che non ci sono più aziende: ne è rimasta
una sola su 10–12. Nel paese, invece, vediamo solo case fissate con transenne di legno,
con pali di legno, vediamo grandi spazi dove hanno demolito case. Questa è la situazione
e credo che il racconto non dia l’idea di quello che c’è nei paesi. Rovereto è stato
uno dei più colpiti dalla seconda scossa – Rovereto, Novi, Moglia – e quando uno va
lì si chiede come faccia una persona, non dico i giovani ma magari una persona che
ha una certa età, a ritornare ad avere una speranza nel proprio Paese.
D. –
Da emiliana, e non da imprenditrice, come vede la sua terra?
R. – A un anno
di distanza, mi sento di dire che nonostante sia stato fatto tanto, probabilmente
non è stata presa in giusta considerazione una situazione che era molto grave. Secondo
me, è stata presa un po’ sotto gamba e di conseguenza, a un anno di distanza, io vorrei
vedere di più di quanto non sia stato fatto, perché tutto quello che è stato fatto
lo è stato per l’iniziativa delle persone. Che siano aziende o privati, a questo punto
non fa differenza: parliamo di persone. Invece, tutto quello che noi ci saremmo dovuti
aspettare dallo Stato, dalle istituzioni, secondo me non è stato altrettanto “reattivo”
così come è stata la reazione degli emiliani. Quello che noi vogliamo è che i nostri
paesi, prima di tutto le nostre persone e, di riflesso, le nostre aziende tornino
ad essere quelle di prima, anche migliori. Purtroppo, per fare questo non basta la
nostra iniziativa privata, o l’iniziativa dei volontari, o dei donatori. Bisogna che
si insista di più sulle istituzioni, sui finanziamenti e sugli aiuti per far rialzare
questa terra, perché l’Emilia si è tirata su in piedi ma ora ha bisogno di essere
sorretta, e questo io lo voglio ribadire fortemente. Non abbiamo tempo da perdere.
Le case continuano a cadere, per rifarle ci vogliono tante risorse e questi devono
essere aiuti che ci devono arrivare. Noi ci mettiamo la voglia di lavorare, il resto
bisogna che ce lo mettano gli altri.