Ultimatum dei ribelli siriani ad Hezbollah. Compromesso Ue sulle sanzioni al regime
Il capo ribelle siriano, Salim Idriss, ha dato un ultimatum di 24 ore al movimento
sciita libanese Hezbollah per porre fine ''all'aggressione contro il territorio siriano''
a fianco delle forze di Bashar al Assad. Intanto i ministri degli Esteri dell’Ue hanno
trovato l’accordo per rinnovare le sanzioni contro il regime siriano e per fornire
armi ai ribelli, ma solo dopo agosto. Un risultato che in molti definiscono di compromesso,
in attesa del vertice di Ginevra del 15 giugno. Negativo il commento di Mosca. In
proposito Salvatore Sabatino ha intervistato Ennio Di Nolfo, docente
emerito di Relazioni Internazionali presso l’Università di Firenze:
R. – "I monti
hanno partorito un topolino", nel senso che l’accordo dei ministri degli Esteri e
l’Unione europea è praticamente un accordo privo di contenuto. Dire, infatti, che
si possono aiutare i ribelli e poi rinviare tutto al mese di agosto, significa dire
che non si debbono mandare aiuti ai ribelli.
D. – Anche in questo caso l’Europa
non è riuscita ad esprimersi ad una sola voce. All’accordo, infatti, si è giunti
dopo numerose trattative e pareri contrari. Sembra passata insomma la linea dura di
Parigi e Londra...
R. - Mi pare di capire che gli europei non sono in grado
di distinguere il senso della ribellione siriana. Questa ribellione è fatta di elementi
liberali, legati all’attuale motivazione generale della primavera araba, ma è anche
animata dal movimento jihadista e questo allarma soprattutto Paesi come l’Austria
e la Svezia che solitamente sono favorevoli a chi si ribella all’autoritarismo ma
che in questo caso frenano le ritorsioni o i blocchi da parte dell’Unione europea.
D.
- Da Istanbul l’opposizione siriana esulta, ma resta comunque divisa al suo interno.
Può essere, secondo lei, un attore credibile oggi? Questo è stato il dubbio sollevato,
per esempio, dal ministro degli esteri italiano, Bonino…
R. – Certo, la Bonino
ha ragione. La ribellione siriana è fatta da 39 gruppi separati. Mettere insieme questi
39 gruppi è quanto di più difficile ci sia perché li animano sentimenti radicalmente
diversi. Molti credono che la vittoria dei sunniti, guidati dal Qatar o magari dalla
Jihad, possa essere in definitiva controproducente per gli equilibri dell’area.
D.
- Da Teheran arriva intanto una risposta netta per controbilanciare le sanzioni. Un
prestito da 4 miliardi di dollari per il regime di Bashar al Assad. Si continua, dunque,
nella politica dei blocchi contrapposti, evidentemente…
R. - Direi proprio
di sì, perché tutto è animato dalla radicale diversità di impostazione religiosa.
Non bisogna trascurare il fatto che questa è una lotta tra sunniti tendenzialmente
moderati, ma anche aperti al jihadismo, e sciiti come di fatto è Assad e sono gli
iraniani.
D. – E Assad può contare anche su Hezbollah.....
R. – Esatto.
Hezbollah che, tra l’altro, in questo momento, mette a repentaglio il proprio prestigio,
la propria posizione, perché dal momento in cui bombarda i quartieri sunniti di Beirut
tenderà a trasformare lo stesso Libano in un campo di battaglia, che sarebbe una tragedia
immane.
D. – A proposito del vertice di Ginevra proposto da Stati Uniti e Russia,
che si dovrebbe tenere la prossima settimana, secondo lei, questo appuntamento riuscirà
a sbloccare l'impasse diplomatica a cui stiamo assistendo ormai da mesi?
R.
– Non si può escludere radicalmente che ci sia un risultato positivo. Penso che sia
un risultato compromissorio. Qualcuno ieri ipotizzava una soluzione analoga a quella
che è stata ideata per la Bosnia-Erzegovina, cioè una specie di configurazione tra
le varie anime del Paese. In Siria questo si applicherebbe abbastanza bene. Non so
se Assad, però, dopo la controffensiva abbastanza fortunata per lui, abbia ancora
la propensione al negoziato che aveva qualche settimana fa.
D. – Però l’aspetto
positivo è che Russia e Stati Uniti si stanno parlando dopo mesi di contrapposizioni
continue…
R. – Certo questo è un aspetto positivo. Del resto i russi hanno
tutto l’interesse a non rompere in maniera brutale con Washington.