Siria: la Ue discute sull'embargo delle armi. Preoccupazione per il coinvolgimento
del Libano
Di fronte alla guerra in Siria prosegue la ricerca di una soluzione diplomatica. Le
cancellerie mondiali sono concentrate sulla conferenza di pace che dovrebbe tenersi
a giugno a Ginevra, in Svizzera. A Bruxelles ieri i ministri degli esteri dell’Unione
Europea hanno discusso invece sul rinnovo dell’embargo sulle armi, che scade venerdì
prossimo. Continuano, intanto, i combattimenti sul terreno. Il servizio è di Davide
Maggiore:
Sulla conferenza
di Ginevra i gruppi d’opposizione restano divisi. In particolare la coalizione nazionale
siriana, considerata la componente principale, non ha ancora chiarito le sue intenzioni.
E mentre i ministri degli Esteri russo, statunitense e francese si incontrano a Parigi,
l’Iran, che la Francia non vorrebbe a Ginevra, ha annunciato un vertice alternativo.
Intanto l’Unione Europea tratta sulla questione delle armi ai ribelli. La soluzione
potrebbe essere quella di forniture decise caso per caso. La coalizione nazionale
siriana ha parlato di “momento della verità”, e ha il sostegno di Gran Bretagna e
Francia. A un via libera in nome del “diritto all’autodifesa” ha fatto appello anche
il ministro degli esteri turco, Davutoglu. La Turchia, con Stati Uniti e Qatar, ha
inoltre chiesto e ottenuto un dibattito all’Onu sulla situazione in Siria. Mercoledì
il Consiglio per i diritti umani discuterà anche dei combattimenti a Qusayr, roccaforte
ribelle ai confini con il Libano, dove oggi ha perso la vita una giornalista della
tv di stato siriana. Sei persone sono invece morte nell’esplosione di un’autobomba
a Damasco.
E intanto cresce la preoccupazione anche in Libano, dopo i due razzi
caduti ieri su Beirut. Salvatore Sabatino ne ha parlato con la collega Susan
Dabbous, raggiunta telefonicamente nella capitale libanese:
R. - Beirut
sicuramente ieri ha subito un fortissimo colpo, perché quello che è accaduto è molto
al di fuori di ciò che aveva portato finora all’espansione del conflitto siriano in
Libano.
D. - Tutto questo, ovviamente, ci fa pensare ad uno stato di tensione
interna con gli Hezbollah che ricoprono un ruolo sempre più importante in questo conflitto…
R.
- Sì, anche se bisogna sottolineare che è cambiata semplicemente la strategia comunicativa,
cioè quello che stava facendo Hezbollah dall’inizio del conflitto - soprattutto negli
ultimi sei mesi - con un’intensificazione della presenza sul campo indiscutibile,
confermata anche da vertici interni. Quello che è cambiato è quindi la strategia,
la strategia comunicativa: il discorso “incendiario” che ha fatto il leader di Hezbollah,
Nasrallah - sabato pomeriggio - è sicuramente qualcosa che va ad alzare la tensione
e ha detto che non solo supporta il regime di Damasco, di Bashar al Assad, ma è un
supporto vicino alla vittoria.
D. - Questo discorso ha preoccupato moltissimo
anche il segretario generale dell’Onu, Ban Ki-moon, che è intervenuto. Le sue parole
come sono state recepite in Libano?
R. - C’è sempre questo “doppiogiochismo”,
tipico della politica libanese che non è mai apertamente critica nei confronti di
ciò che arriva dall’Occidente, perché il governo è sempre aperto alle Nazioni Unite.
D. - Questa situazione di tensione avrà delle ripercussioni anche sul futuro
governo libanese?
R. - E’ difficile da dire, perché la formazione del governo
di solito dipende da altri meccanismi, che sono anche molto più clientelari, basati
su scambi che avvengono su base regionale. Per cui, al di là di quello che possiamo
vedere macroscopicamente del conflitto tra sciiti e sunniti e quant’altro, poi invece
sulla formazione del governo giocano altri fattori.
D. - Parliamo ora dei combattimenti
che stanno interessando l’area di Tripoli, nel nord del Libano: almeno 31 i morti
in una settimana di scontri. Quello che era un rischio sta diventando una pericolosa
realtà: la guerra sta arrivando nel “Paese dei cedri”…
R. - Possiamo fare due
analisi, la prima è ottimista: possiamo dire che questa situazione di tensione è presente
da più di un anno; ero proprio qui l’anno scorso - più o meno in questo periodo -
quando erano ricominciati i conflitti a Tripoli, su larga scala, e poi non si sono
mai espansi rispetto ai due quartieri storicamente rivali. Dall’altro lato se invece
vogliamo vedere la cosa da un punto di vista più pessimistico, non c’era stata finora
un’escalation così grave: il bilancio dei 30 morti in una sola settimana è finora
il più grave; c’erano state delle settimane particolarmente sanguinose - soprattutto
a dicembre - ma non si era mai superato il numero dei 17-19 morti. Purtroppo è brutto
parlare in questi termini di vite umane, però è pure vero che Tripoli rappresenta
questa sorta di “cliché” della guerra tra i due quartieri. Per cui, parlare di guerra
in Libano quando scoppiano conflitti a Tripoli è di solito piuttosto inappropriato...