Siria: il conflitto rischia di estendersi al Libano, razzi su Beirut
Ennesima giornata di sangue in Siria. Epicentro dei combattimenti ancora la città
di Qusayr, vicina al confine con il Libano; qui da giorni si danno battaglia i lealisti,
supportati dalle milizie di Hezbollah, e gli insorti anti-regime. Nelle violenze ha
perso la vita anche una giornalista della tv di Stato siriana. Un’autobomba ha, invece,
causato la morte di 6 persone a Damasco. E intanto cresce la preoccupazione anche
in Libano, dopo i due razzi caduti ieri su Beirut. Salvatore Sabatino ne ha
parlato con la collega Susan Dabbous, raggiunta telefonicamente nella capitale
libanese.
R. - Beirut
sicuramente ieri ha subito un fortissimo colpo, perché quello che è accaduto è molto
al di fuori di ciò che aveva portato finora all’espansione del conflitto siriano in
Libano.
D. - Tutto questo, ovviamente, ci fa pensare ad uno stato di tensione
interna con gli Hezbollah che ricoprono un ruolo sempre più importante in questo conflitto…
R.
- Sì, anche se bisogna sottolineare che è cambiata semplicemente la strategia comunicativa,
cioè quello che stava facendo Hezbollah dall’inizio del conflitto - soprattutto negli
ultimi sei mesi - con un’intensificazione della presenza sul campo indiscutibile,
confermata anche da vertici interni. Quello che è cambiato è quindi la strategia,
la strategia comunicativa: il discorso “incendiario” che ha fatto il leader di Hezbollah,
Nasrallah - sabato pomeriggio - è sicuramente qualcosa che va ad alzare la tensione
e ha detto che non solo supporta il regime di Damasco, di Bashar al Assad, ma è un
supporto vicino alla vittoria.
D. - Questo discorso ha preoccupato moltissimo
anche il segretario generale dell’Onu, Ban Ki-moon, che è intervenuto. Le sue parole
come sono state recepite in Libano?
R. - C’è sempre questo “doppiogiochismo”,
tipico della politica libanese che non è mai apertamente critica nei confronti di
ciò che arriva dall’Occidente, perché il governo è sempre aperto alle Nazioni Unite.
D. - Questa situazione di tensione avrà delle ripercussioni anche sul futuro
governo libanese?
R. - E’ difficile da dire, perché la formazione del governo
di solito dipende da altri meccanismi, che sono anche molto più clientelari, basati
su scambi che avvengono su base regionale. Per cui, al di là di quello che possiamo
vedere macroscopicamente del conflitto tra sciiti e sunniti e quant’altro, poi invece
sulla formazione del governo giocano altri fattori.
D. - Parliamo ora dei combattimenti
che stanno interessando l’area di Tripoli, nel nord del Libano: almeno 31 i morti
in una settimana di scontri. Quello che era un rischio sta diventando una pericolosa
realtà: la guerra sta arrivando nel “Paese dei cedri”…
R. - Possiamo fare due
analisi, la prima è ottimista: possiamo dire che questa situazione di tensione è presente
da più di un anno; ero proprio qui l’anno scorso - più o meno in questo periodo -
quando erano ricominciati i conflitti a Tripoli, su larga scala, e poi non si sono
mai espansi rispetto ai due quartieri storicamente rivali. Dall’altro lato se invece
vogliamo vedere la cosa da un punto di vista più pessimistico, non c’era stata finora
un’escalation così grave: il bilancio dei 30 morti in una sola settimana è finora
il più grave; c’erano state delle settimane particolarmente sanguinose - soprattutto
a dicembre - ma non si era mai superato il numero dei 17-19 morti. Purtroppo è brutto
parlare in questi termini di vite umane, però è pure vero che Tripoli rappresenta
questa sorta di “cliché” della guerra tra i due quartieri. Per cui, parlare di guerra
in Libano quando scoppiano conflitti a Tripoli è di solito piuttosto inappropriato...