2013-05-25 14:26:21

Svezia, altra notte di tensione: testimonianze di un corrispondente e una ricercatrice


Per la sesta notte consecutiva si sono verificati disordini a Husby, un quartiere di Stoccolma abitato soprattutto da immigrati. Diverse automobili sono state date alle fiamme, ma i disordini sono stati meno gravi delle notti precedenti, tuttavia si sono estesi ad altre città, tra cui Uppsala. Il servizio di Benedetta Capelli:RealAudioMP3

Sesta notte di disordini con veicoli in fiamme in diversi quartieri di Stoccolma, ma l’impiego di agenti, provenienti da Goteborg e da Malmoe ha fatto sì che quella passata sia stata una notte meno carica di tensione. Nel centro della Svezia, a Orebro, un gruppo di giovani ha invece dato fuoco ad alcune auto, mentre non lontano da Stoccolma è stato incendiato un edificio disabitato. Tutto è iniziato lo scorso 13 maggio, dopo l’uccisione di un uomo armato di coltello da parte della polizia: l'episodio ha scatenato reazioni forti con incendi, saccheggi, atti di sciacallaggio, tanto da spingere le Ambasciate di Gran Bretagna e Stati Uniti a invitare i propri connazionali a tenersi lontani da alcuni quartieri.

Le violenze di questi giorni hanno suscitato molta curiosità all’estero, diversa la reazione all’interno dell’opinione pubblica svedese. Ma per i fatti di Stoccolma è difficile dare un’unica lettura. Ake Malm, corrispondente in Italia del quotidano “Aftonbladet”:

“La situazione è molto complessa ed è molto difficile fare generalizzazioni. Non c’è dubbio che in Svezia negli ultimi anni ci siano stati fenomeni molto frequenti di razzismo. Abbiamo al potere un partito chiaramente xenofobo, arrivato a essere il terzo più grande partito del Paese e questo è estremamente preoccupante”.

“Non c’è una valenza razziale in questi disordini”, aggiunge Marta Paterniti, ricercatrice del “Karolinska Institut” di Stoccolma, uno dei più importanti Centri di ricerca al mondo, da anni nel Paese scandinavo. C’è da aggiungere che la società svedese è cambiata molto negli ultimi dieci anni, a causa anche di alcune riforme attuate come quella della scuola:

“Negli ultimi anni, ha visto mancare molto la disciplina, c’è molta poca disciplina. C’è l’attitudine, da una parte, di rispettare le idee del bambino e a volte è come se i maestri diventassero passivi o addirittura vittime dei voleri dei bambini. Secondo me, questa cosa sta scappando di mano e messa in un contesto di segregazione crea dei problemi. Quando dalla scuola non arrivano modelli educativi forti, le famiglie di immigrati, che hanno già tutti i disagi del caso, vivono ancora di più questo disagio dei figli”.

Sembra in crisi il modello di accoglienza svedese che - se da un lato ha portato nel Paese una presenza di immigrati pari al 15% e con 44 mila richieste di asilo solo lo scorso anno - dall’altro ha visto crescere negli stessi immigrati, relegati in periferia, un forte senso di emarginazione rispetto alla società svedese. Ancora Marta Paterniti:

“Lavoro al 'Karolinska Institut' e sono un’immigrata privilegiata. Io, però, come l’immigrato di Husby, che è il quartiere da cui è partito tutto, abbiamo gli stessi benefici sociali dallo Stato svedese. La società svedese è molto chiusa e, secondo me, non c’è ancora la cultura di vedere nella persona diversa, quindi nell’immigrato, una ricchezza”.

Dunque, pari diritti per tutti ma rischio di omologazione: è un po’ questo il cuore del problema accanto ad altri fattori sociali, come il taglio di sussidi di disoccupazione e la crescente disoccupazione dei lavoratori non qualificati. Ma la Svezia non è un Paese in crisi economica. Il giornalista Ake Malm:

“L’economia ha tenuto in un momento in cui il resto dell’Europa si trovava in una grande crisi, in deficit di bilancio e nel debito pubblico. La Svezia ha un debito pubblico del 34% e non è questo il problema. Fino a quest’anno abbiamo, avuto l’aumento del pil di oltre il 2% e adesso siamo all’1, 5%. E’ diminuito, ma non si può parlare di grave crisi. La crisi invece sta nel cambiamento del mercato del lavoro. Molte di quelle fabbriche che una volta richiedevano gente senza grande preparazione, non ci sono più perché sono state spostate in Asia. Chi arriva senza una specifica preparazione, quindi, trova difficilmente lavoro. Senza una preparazione, si hanno grandissime difficoltà anche nell’integrarsi”.







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