Svezia, altra notte di tensione: testimonianze di un corrispondente e una ricercatrice
Per la sesta notte consecutiva si sono verificati disordini a Husby, un quartiere
di Stoccolma abitato soprattutto da immigrati. Diverse automobili sono state date
alle fiamme, ma i disordini sono stati meno gravi delle notti precedenti, tuttavia
si sono estesi ad altre città, tra cui Uppsala. Il servizio di Benedetta Capelli:
Sesta notte
di disordini con veicoli in fiamme in diversi quartieri di Stoccolma, ma l’impiego
di agenti, provenienti da Goteborg e da Malmoe ha fatto sì che quella passata sia
stata una notte meno carica di tensione. Nel centro della Svezia, a Orebro, un gruppo
di giovani ha invece dato fuoco ad alcune auto, mentre non lontano da Stoccolma è
stato incendiato un edificio disabitato. Tutto è iniziato lo scorso 13 maggio, dopo
l’uccisione di un uomo armato di coltello da parte della polizia: l'episodio ha scatenato
reazioni forti con incendi, saccheggi, atti di sciacallaggio, tanto da spingere le
Ambasciate di Gran Bretagna e Stati Uniti a invitare i propri connazionali a tenersi
lontani da alcuni quartieri.
Le violenze di questi giorni hanno suscitato molta
curiosità all’estero, diversa la reazione all’interno dell’opinione pubblica svedese.
Ma per i fatti di Stoccolma è difficile dare un’unica lettura. Ake Malm, corrispondente
in Italia del quotidano “Aftonbladet”:
“La situazione è molto complessa
ed è molto difficile fare generalizzazioni. Non c’è dubbio che in Svezia negli ultimi
anni ci siano stati fenomeni molto frequenti di razzismo. Abbiamo al potere un partito
chiaramente xenofobo, arrivato a essere il terzo più grande partito del Paese e questo
è estremamente preoccupante”.
“Non c’è una valenza razziale in questi disordini”,
aggiunge Marta Paterniti, ricercatrice del “Karolinska Institut” di Stoccolma,
uno dei più importanti Centri di ricerca al mondo, da anni nel Paese scandinavo. C’è
da aggiungere che la società svedese è cambiata molto negli ultimi dieci anni, a causa
anche di alcune riforme attuate come quella della scuola:
“Negli ultimi
anni, ha visto mancare molto la disciplina, c’è molta poca disciplina. C’è l’attitudine,
da una parte, di rispettare le idee del bambino e a volte è come se i maestri diventassero
passivi o addirittura vittime dei voleri dei bambini. Secondo me, questa cosa sta
scappando di mano e messa in un contesto di segregazione crea dei problemi. Quando
dalla scuola non arrivano modelli educativi forti, le famiglie di immigrati, che hanno
già tutti i disagi del caso, vivono ancora di più questo disagio dei figli”.
Sembra
in crisi il modello di accoglienza svedese che - se da un lato ha portato nel Paese
una presenza di immigrati pari al 15% e con 44 mila richieste di asilo solo lo scorso
anno - dall’altro ha visto crescere negli stessi immigrati, relegati in periferia,
un forte senso di emarginazione rispetto alla società svedese. Ancora Marta Paterniti:
“Lavoro
al 'Karolinska Institut'e sono un’immigrata privilegiata. Io, però, come l’immigrato
di Husby, che è il quartiere da cui è partito tutto, abbiamo gli stessi benefici sociali
dallo Stato svedese. La società svedese è molto chiusa e, secondo me, non c’è ancora
la cultura di vedere nella persona diversa, quindi nell’immigrato, una ricchezza”.
Dunque,
pari diritti per tutti ma rischio di omologazione: è un po’ questo il cuore del problema
accanto ad altri fattori sociali, come il taglio di sussidi di disoccupazione e la
crescente disoccupazione dei lavoratori non qualificati. Ma la Svezia non è un Paese
in crisi economica. Il giornalista Ake Malm:
“L’economia ha tenuto
in un momento in cui il resto dell’Europa si trovava in una grande crisi, in deficit
di bilancio e nel debito pubblico. La Svezia ha un debito pubblico del 34% e non è
questo il problema. Fino a quest’anno abbiamo, avuto l’aumento del pil di oltre il
2% e adesso siamo all’1, 5%. E’ diminuito, ma non si può parlare di grave crisi. La
crisi invece sta nel cambiamento del mercato del lavoro. Molte di quelle fabbriche
che una volta richiedevano gente senza grande preparazione, non ci sono più perché
sono state spostate in Asia. Chi arriva senza una specifica preparazione, quindi,
trova difficilmente lavoro. Senza una preparazione, si hanno grandissime difficoltà
anche nell’integrarsi”.