Il commento di don Ezechiele Pasotti al Vangelo della Domenica
In questa domenica, Solennità della Santissima Trinità, la liturgia ci propone il
Vangelo in cui Gesù manifesta ai discepoli il suo rapporto con il Padre e lo Spirito
Santo. Molte cose ha ancora da dire, ma per il momento quanti lo seguono non sono
capaci di portarne il peso. Sarà lo Spirito Santo a guidarli a tutta la verità:
«Tutto
quello che il Padre possiede è mio; lo Spirito prenderà del mio e ve lo annuncerà».
Su
questo brano evangelico ascoltiamo una breve riflessione di don Ezechiele Pasotti,
prefetto agli studi nel Collegio Diocesano missionario “Redemptoris Mater” di Roma:
Si sono appena
compiuti i 50 giorni della Pasqua. Abbiamo ancora negli occhi le lingue di fuoco della
Pentecoste. Il Vangelo di oggi ci porta, con i discepoli, attorno alla mensa di Pasqua,
nell’ultima cena, dove il Signore Gesù ci apre uno spiraglio sul mistero d’amore
che unisce il Padre e il Figlio, nello Spirito Santo: il mistero della Trinità. “Le
tre persone divine stanno in tale comunione fra loro che possono essere immaginate
solo come ‘danzanti insieme’ in una danza comune: il Figlio è completamente nel Padre,
e con il Padre, il Padre completamente nel Figlio, e con il Figlio, e ambedue trovano
la loro unità mediante il vincolo dello Spirito Santo” (G. Greshake, La fede nel Dio
trinitario. Una chiave per comprendere, p. 31). Cristo ci rivela il Padre, e donandoci
lo Spirito ci rende “icone di Dio”, ci riconduce al Padre. Questo mistero d’amore,
questa “relazione” – e quindi questa festa che celebriamo – non è la definizione di
una verità, un dogma solo da credere, lontano da noi. È piuttosto entrare in comunione
con le sorgenti stesse della vita: il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo, l’Unica
e indivisa Trinità, la primordiale comunità d’amore nella cui immagine siamo stati
creati. Ecco allora l’opera dello Spirito Santo in noi: in questa celebrazione Egli
prende Cristo e ce lo dona: diventiamo partecipi del suo Corpo, spezzato per noi,
del suo Sangue, versato per noi. Rivestiti di Lui, entriamo anche noi nella “danza
divina” della comunione fraterna, della comunità cristiana. È vinta la dispersione
e la solitudine: a noi è dato il pegno della vita eterna, di questa “danza divina”
d’amore.