2013-05-23 15:07:19

Borse europee giù dopo crollo a Tokyo. Cozzi: speculazione favorita da austerity


Il crollo della Borsa di Tokyo, che ha chiuso a meno 7,32%, travolge i mercati europei, con Milano che ha toccato anche un meno 3%. A trainare in basso la Borsa giapponese sembrano da un lato la contrazione del manifatturiero in Cina e dall’altro i timori per le dichiarazioni del presidente della Federal Reserve (Fed), Ben Bernanke, su una possibile riduzione degli stimoli monetari della Fed nel caso in cui l’economia americana continui a migliorare. Sui motivi del ridimensionamento di Tokyo, e più in generale della crisi economica, Debora Donnini ha chiesto l'opinione di Tommaso Cozzi, professore di Economia all’Università di Bari e di Etica sociale ed economica all’Ateneo Regina Apostolorum di Roma:RealAudioMP3

R. – La Borsa di Tokyo si sta ridimensionando per una serie di fattori, non ultimo anche la compensazione dei forti rialzi che ci sono stati di recente.

D. – Si dice anche che sia stata la contrazione del manifatturiero in Cina a pesare sul crollo della borsa di Tokyo…

R. – Certo, ieri c’è stato un intervento in questo senso da parte del presidente della Federal Reserve, che ha fatto appunto rilevare questo aspetto. Il problema è che la Cina sta cominciando a scontare il ridimensionamento di una crescita che in qualche modo non ha toccato la popolazione in senso lato, ma soltanto alcune nicchie della popolazione. Quindi, è chiaro che anche in Cina, se stagnano i consumi interni e esterni, il manifatturiero crolla.

D. – Questo perché in Cina ci sono pochi ricchi e molti poveri rispetto all’enorme popolazione…

R. – In Cina non si sta facendo altro che ricalcare il modello negativo che, evitando la ridistribuzione della ricchezza, ha portato solo pochissimi ad arricchirsi. Ma noi sappiamo bene che se non si alimentano i consumi soprattutto della media borghesia, crollano i settori a cominciare dal manifatturiero.

D. – Questo a differenza dell’Europa che fino a poco tempo fa aveva invece puntato sulla classe media, cioè su un benessere diffuso, che era il nerbo dello sviluppo dell’Europa e degli Stati Uniti…

R. – Certo, la media borghesia ha sempre costituito il punto di riferimento per i consumi. Se noi la distruggiamo con una pressione fiscale esasperata, eliminando i servizi essenziali quali quelli sanitari, quelli educativi eccetera, e costringiamo la media borghesia a indebitarsi, questa viene risucchiata verso il basso, come è stata risucchiata in Europa e negli Stati Uniti.

D. – Secondo lei, tutto quello che sta succedendo potrebbe anche essere visto come un “gioco” della finanza mondiale per guadagnare più soldi?

R. – Certamente sì, perché cosa è accaduto a Tokyo? C’è stata una fortissima vendita di titoli: in particolare, il crollo del 7,2% è dovuto soprattutto al rendimento dei titoli di Stato giapponesi, naturalmente sempre tenendo conto dei collegamenti globali. Quindi, certamente dietro c’è una speculazione molto forte, ma la speculazione è consentita dalle politiche di austerità. Se ci fossero politiche sociali di ridistribuzione più eque, sicuramente gli attacchi speculativi si ridurrebbero. Gli attacchi speculativi ci sono sempre stati, ma non in queste dimensioni.

D. – Cosa dovrebbe fare l’Europa?

R. – L’Europa dovrebbe iniziare a rivedere completamente la politica di austerity. Sembra che da questo punto di vista si insista in maniera ossessiva senza comprendere che la difesa di questo tipo di politica che non libera risorse, non fa altro che affossare ulteriormente anche gli Stati più forti, quali ad esempio la Germania. Bisogna liberare risorse intervenendo soprattutto sulla leva fiscale e ancora sui tassi di cambio. Le banche dovrebbero liberare i prestiti nei confronti delle piccole e medie imprese, dare più liquidità sia alle imprese sia ai consumatori, perché solo in questo modo si rimette in moto la crescita e riusciamo a venirne fuori. Altrimenti, sarà dura ancora per molto tempo.

D. – E bisogna non avere paura dello spread…

R. – Sì, come stiamo vedendo in questi giorni anche nei momenti peggiori di debolezza, ad esempio del sistema politico italiano, non è che lo spread sia andato chissà dove. Anzi si è stabilizzato. Questo non significa che lo spread sia una variabile indipendente dall’economia, ma che è uno dei tanti parametri. Non è il parametro che ci deve condizionare nelle scelte. E dietro a questo condizionamento di carattere psicologico si nasconde una forte pressione speculativa.







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