Cinque minatori feriti in scontri con la polizia nel nord del Sudafrica
Di nuovo scontri in una miniera in Sudafrica. Disordini tra polizia e lavoratori in
sciopero sono scoppiati nel nord del Sudafrica, presso una miniera di cromo, di proprietà
del gruppo Lanxess, a Rustenburg, Secondo la portavoce dell'azienda, i minatori hanno
cominciato a lanciare pietre contro la polizia che ha risposto sparando proiettili
di gomma “per difendersi”. Dieci i feriti. A febbraio in un’altra miniera di platino
nei disordini erano rimasti uccisi cinque minatori. Ben più grave, con decine di morti,
era stato il bilancio della situazione di crisi di un anno fa. Della tensione legata
al settore minerario e del contesto sociale del Sudafrica, Fausta Speranza
ha parlato con Anna Bono, docente di Storia dei Paesi e delle istituzioni africane
all’Università di Torino:
R. – E’ una
situazione di tensione crescente che oltretutto – in particolare per il fatto che
è sul punto di aprirsi il negoziato sulla ridefinizione dei salari e delle condizioni
di lavoro nel settore minerario – non promette niente di buono.
D. – Una situazione
particolare, questa dei lavoratori nelle miniere, ma in qualche modo rappresentativa
di tutta una tensione sociale: è così?
R. – Certamente. Questo Paese dal 2010
è entrato a far parte dei Paesi emergenti e, in effetti, rispetto al panorama generale
del continente africano, è in condizioni decisamente più rosee: basti pensare che
nel vicino Zimbabwe la disoccupazione è calcolata al 75%, mentre in Sudafrica è “soltanto”
– si fa per dire – al 25%. Tuttavia, nel 2008-2009 questo Paese, risentendo della
crisi internazionale ma anche di scelte politiche ed economiche che non sono state
delle più felici, è entrato in recessione. Soprattutto l’industria mineraria, che
è una parte fondamentale dell’economia di questo Paese, è entrata in crisi, in recessione:
c’è stata una diminuzione della produzione e quindi degli introiti. E, in generale,
si può dire che ormai da alcuni anni il Paese risenta soprattutto, anche in presenza
di miglioramenti tangibili – almeno in certi settori – delle condizioni di vita della
popolazione, della delusione per le promesse mancate. A 18 anni dalla fine del regime
di apartheid, ci sono ancora non dico sacche di povertà, che sarebbe già grave,
ma c’è ancora un terzo circa della popolazione del Paese che vive sotto la soglia
della povertà. E il disagio è aumentato proprio per la delusione delle promesse mancate,
delle aspettative enormi che sono state deluse in questi anni da una classe dirigente
e da una classe politica che non si sono dimostrate all’altezza.
D. – La classe
dirigente non è stata all’altezza della crisi economica globale, o delle situazioni
particolari da risanare all’interno della società del Sudafrica?
R. – Entrambe
le cose. Non è stata all’altezza e poteva anche essere comprensibile, date le proporzioni
della crisi globale, mondiale, che stiamo attraversando. Non è stata all’altezza dell’emergenza
che si è creata a partire dal 2008, ma soprattutto non è stata capace di avviare politiche
generali nel settore dei servizi e delle infrastrutture e nel settore dell’occupazione,
che consentano un reale miglioramento delle condizioni di vita della popolazione,
in particolare dei dipendenti delle miniere che sono protagonisti – ma non soltanto
loro – ormai da oltre un anno di proteste vivaci e anche molto ben organizzate. Lamentano
condizioni di lavoro pericolose, lamentano condizioni abitative e, in generale, di
vita per se stessi e per le famiglie del tutto al di sotto della soglia non dico di
povertà ma di dignità. Naturalmente, questo si riflette in questo Paese, a differenza
forse di altri, in un risentimento che non prende di mira soltanto le multinazionali,
ma il governo stesso. In un certo senso, è un elemento positivo perché dovrebbe essere
indicatore di una maggiore capacità di analisi e di valutazione della situazione da
parte dei sudafricani.