Bicentenario wagneriano. Pestelli: "L'uomo al centro del suo teatro innovativo"
Il 22 maggio del 1813, nasceva a Lipsia Richard Wagner. Un genio multiforme, autore
di scritti, saggi e opere letterarie di vario genere oltre che di tredici opere teatrali
che innovarono la concezione stessa del teatro musicale in Germania e nel mondo. Fu
indubbiamente una delle figure più complesse del secolo scorso, che ha incarnato le
più forti contraddizioni del Romanticismo tedesco. Ma cosa resta indelebile della
sua arte a distanza di 200 anni? Gabriella Ceraso lo ha chiesto al critico
e musicologo, Giorgio Pestelli:
R. – Una conquista
indelebile resta legata al fatto che ha reso il linguaggio musicale ipersensibile,
capace di esprimere stati d’animo anche complessi, sottili, ineffabili, cose cioè
dell’interiorità mai espresse in musica e che, dopo di lui, hanno avuto un grande
seguito. Senza di lui, uno Strauss o un Mahler non sarebbero concepibili e anche,
fuori dalla Germania, un Debussy o un Franck, o anche – fuori dalla musica, in pittura,
in letteratura – un Baudelaire o un Proust. La prosa di Proust e tutta la concezione
del suo grande romanzo ciclico senza la presenza di questo fluire della musica di
Wagner sarebbero state diverse.
D. – Lei ha parlato di un fluire e in effetti
l'idea di "opera totale" di Wagner è un’idea nuova. Cosa voleva dire?
R. –
Un’idea più interiore dello spettacolo, in cui la parola, il canto e la scena, tutte
confluissero in un ideale di unità quasi mistica, quasi da rito.
D. – Lei lo
definirebbe un autore difficile?
R. – Senza dubbio, è un autore difficile soprattutto
da rappresentare, perché ha delle pretese musicali di orchestra, di voci, di fatica
di voce e sceniche molto importanti. Per il pubblico è indispensabile, secondo me,
sapere cosa questi personaggi dicono, perché Wagner è un grande moralista, è uno che
va a fondo nei dialoghi.
D. – Qual era la visione che aveva Wagner dell’umanità
e dell’uomo?
R. – Un mondo che nella realtà che lui rappresenta è sempre dominato
da questa oscura presenza del male, oscura e misteriosa: non si sa perché c’è il male
nel mondo, ma l’uomo è veramente oppresso da questo peso. A questo si contrappone
un riscatto lontano o un’illusione suprema, che è quella dell’amore. In tutta la sua
opera, poi, c’è questo tema della rinuncia e cioè una concezione della vita in cui
solo la rinuncia – la rinuncia all’amore, la rinuncia al potere, all’oro e alla ricchezza
– dà un orizzonte ottimista.
D. – Lo trova un autore con contenuti e idee attuali?
R.
– Sì, senza dubbio, perchè in Wagner il ricorso a leggende mitiche è una copertura
che egli usa per analizzare l’uomo in se stesso. Diceva: “A me interessa quello che
è tipicamente umano, l’eternamente umano”. Secondo me, quindi, Wagner è attualissimo,
ma bisogna saperlo trattare, nelle regie, negli aspetti giusti.
D. – Un contemporaneo
di Wagner – e il bicentenario è anche il suo – è Verdi. La storia li ha sempre un
po’ contrapposti. E’ corretto contrapporli? Non hanno veramente niente in comune i
due?
R. – I due certamente hanno avuto una carriera parallela, ma venivano
da due ambienti molto diversi. In Verdi, c’era una matrice molto più popolare e scriveva
opere italiane secondo la ricetta usuale. Resta un musicista in cui il teatro è soprattutto
voce. Per Wagner, invece, i personaggi erano immersi nell’orchestra, che rappresentava
il cosmo, la vita dell’universo, e i personaggi erano minori. In comune certamente
avevano la morale del lavoro e poi, in fondo, in tutti e due il centro del loro teatro
era l’uomo, le passioni dell’uomo, la coscienza umana.
D. – C’è qualcuno che
trova in comune tra i due anche un ruolo svolto nella costruzione di una certa idea
di nazione libera, democratica, nei loro rispettivi Paesi, Germania e Italia...
R.
– Per Verdi, si può dire senz’altro che sia così. Ha rappresentato l’identità della
coscienza italiana nel suo diventare nazione. Per Wagner non direi: Wagner era più
un anarchico e nella sua concezione teatrale si è tenuto al di fuori della politica
Che poi la nazione tedesca e, peggio ancora, l’epoca del nazismo abbiano usato la
sua musica per i loro fini propagandistici, è un altro discorso.